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IL CIRCOLO NON-VIRTUOSO

di | in: Editoriali

di Franco De Anna


08/12/2009 – Su alcuni numeri di  “la Repubblica” di qualche giorno fa   ho molto apprezzato gli articoli di prima pagina sul problema “giovani studiosi-laureati” di fronte all’ estrema difficoltà in Italia dell’occupazione lavorativa di correlato livello, legata alla meritrocrazia.

Nel mio piccolissimo, mi associo a quello che Pierluigi Celli della LUISS di Roma esterna in una lettera al proprio figlio consigliandogli, con parole che definirei “strazianti”, di allontanarsi al più presto dal sistema Italia.

E, nel mio infinitesimo, mi associo anche all’analisi della professoressa Benedetta Tobagi sulle differenze di scenari alla base del mercato del lavoro all’estero rispetto all’Italia.

Però, in ambedue gli articoli, colpisce come i soggetti considerati siano studenti universitari o laureati, chiamiamoli così,  “alto di gamma” (un parallelo, per esemplificare: se il settore che stessimo considerando fosse quello del mobile, staremmo parlando del posizionamento “luxury absolute”).

Ma, vivaddio, l’analisi sulle “medie” ( di popolazione studentesca, di livello d’insegnamenti elargiti, di capacità e risultanze d’apprendimento, di facoltà di trasposizione del teorico degli studi nel pratico d’effettivo interesse aziendale)   cosa mostra oggi?

Me lo sono chiesto sempre, fin da quando ho iniziato a prestare opera a contratto in una  Università statale ed in una Libera Università parificata  ( e undici anni accademici  possono essere sufficienti a capire): riferendomi, come dicevo, alle medie, provo a sintetizzare quello che penso , scrivendolo. Giocoforza, con una visione rapportata al mondo degli studi e specialmente al mercato del lavoro assolutamente personale, interiorizzata nell’arco di oltre 57 anni (dalle elementari,  all’attività lavorativa pluridecennale nell’industria petrolifera italiana).


l sistemi scolastici ed universitari italiani  mi appaiono avulsi da qualsiasi razionale pianificazione  che porti a  far traguardare gli studi nei termini di un investimento le cui risultanze debbano poi  avere  debito riscontro   nel mercato del lavoro.


1-      Fin dalle elementari, l’impostazione dell’insegnamento nazionale mi sembra non adeguata ai tempi.

Dichiarandolo, penso al “mammismo” tutelato ad oltranza anche dentro le aule, all’impostazione mentale data ai piccoli che non aiuta a “staccarli” dall’alveo famigliare (ponendoli a fronte di realtà diversificate) nè dai livelli culturali espressi da quell’alveo, a farli pensare in proprio autosufficientemente, ad iniziarli a competere meritocraticamente , già ad ”impostarli”  attivamente, a far  loro conoscere i propri punti di forza e di debolezza nell’ambito di quegli atteggiamenti/comportamenti  che saranno a base della vita sociale e lavorativa futura. Peccato, perché il tempo e lo sforzo per insegnanti ed alunni è il medesimo.

Penso al mio adorato nipotinio belga che quest’anno frequenta la prima elementare e che ha pianto disperato staccandosi dalla madre  il primo giorno di scuola. Nel giro di quattro mesi, al pari di tutti gli altri piccoli, ha subito una trasformazione che ha dell’incredibile ed è chiaramente dovuta al “sistema” programmatico d’insegnamento: mostra una più definita individualità e sicurezza, si esprime con evidente maggior compiutezza, risponde articolando supporti  razionali al proprio dire, invita i genitori a porgli quesiti matematici, già declama brevi fraseggi in inglese (e che pronuncia! Non certo quella  diversificata che i nostri insegnanti rigorosamente non-di-madrelingua esternano  sulle medesime parole a seconda che siano di origine milanese o palermitana).

Di più, ha già ricevuto la pagella trimestrale che pagella non è: sono rimasto incredulo nel leggere  le cinque pagine di cui è composta che , oltre le risultanze “ quantitative” ( il voto, intendo, espresso in forma semantica da insufficiente a buono) di insegnamenti quali la Madrelingua suddivisa in “ corretta dizione” e “corretto scrivere” ( con concettualità non paragonabili ai nostri “orale” e “scritto” dove, ad esempio, si sopportano le assonanze dialettali o si considerano solo il numero degli errori “rossi” e “blu”), la Matematica (affrontano già l’incognita algebrica “x”) e la Geografia orientativa, puntualizzano  valutazioni valoriali “qualitative” quali  “Comportamento” (non la nostra “condotta”), “Atteggiamento e Comportamento in gruppo”, “Capacità di ascoltare gli altri ”.

Non solo, ai piccoli vengono affiancati dei “tutors”: altri non sono che alunni delle classi immediatamente superiori  che li aiutano nelle attività scolastiche e da ciò ne traggono un up-gradamento personale intenso mentre   i “tutelati” non vedono l’ora di imitarli divenendo tutors a loro volta.

 

              2-Nella  nostra scuola media e medio-superiore,  che sovrintende allo sviluppo culturale nel delicato periodo di quello fisiologico che  lascia la pubertà alle spalle, le cose mi appaiono ancor peggiori.

Le difficoltà di gestire una moltitudine di “studenti”,  generalmente quasi  priva di quella speciale volontà che spinge “gioiosamente” allo studio ma anche totalmente priva delle conoscenze sulle metodologie di approccio all’arte di “saper studiare ”,  sono enormi e trovano per lo più impreparati gli insegnanti.

Tutto sembra concorrere alla non soluzione della discrasia grave perché, è sotto gli occhi di tutti, i giovani fluttuano  in un ambiente virtual-televisivo che sembra poter produrre solo dei non-valori, poi traslati in una realtà  che predilige l’estemporaneo al razionale, il facile all’arduo, il fatuo al concreto,  il palliativo al doveroso, l’immediato al programmato, l’utilitaristico all’etico : la forma alla sostanza.

Ciò produce come effetto derivato l’unione di giovani in ampi “gruppi similari”,  ad auto-sostegno di un agire comune, per un’illusoria (con)divisione delle consequenziali responsabilità così ritenendole minimizzate.

Lo status quo familiare, da cui la stragrande maggioranza dei singoli non ha nessuna intenzione di staccarsi, permette ancora (fino a quando?) la sopravvivenza economica della tendenza soggettiva e di gruppo, così perpetrando la discrasia grave in  gravissima.

Credo che i “gruppi similari” facciano paura agli insegnanti italiani ed incidano sulla qualità e sul livello dell’insegnamento.

Tempo fa, ho partecipato ad una conferenza tenuta in una sala del Comune di San Benedetto del Tronto dove veniva presentato un libro incentrato su una ricerca effettuata nelle scuole medie e medie-superiori del  territorio provinciale in merito alle capacità di apprendimento della Matematica da parte di alunni e studenti.  La sala era mediamente gremita, in maggioranza da insegnanti. L’autore del libro era lui stesso  un insegnante come un’insegnante fungeva da relatore  e potenziale animatrice di dibattito col pubblico.

Quest’ultima, con poche parole semplici ed estremamente chiare, ha inteso approfondire sulle problematiche montanti dell’apprendimento (e della volontà di) della matematica da parte degli alunni delle medie sia quale oggetto principale del libro sia come leit-motif traslabile a tutte le altre materie dei programmi di studio.

Mi ha colpito la  domanda  che sottendeva il dire della insegnante-relatore: le problematiche  addebitabili agli studenti   potevano avere  un risvolto di responsabilità anche degli insegnanti? Mi ha colpito la sua frase di denuncia “Ogni anno che passa, la situazione peggiora. Non se ne può più”. Mi ha colpito l’apatia evidente dell’audience presente.


3-Nelle facoltà ad indirizzo economico dello scenario universitario nostrano (parlo di Economia ma ho il fondato sospetto che il giudizio possa essere allargato), a mio avviso si implementano programmi e corsi di studi il cui motivo principe sembra essere la genericità d’approfondimenti: comunque, pochissimo o niente che possa almeno far da base a un’acquisizione culturale di successivo interesse aziendale nel mondo del lavoro.

Il sistema sembra strutturato prioritariamente per fornire “Titoli di Studio” (visto l’alto livello della relativa domanda) ma, non vorrei apparire cattivo, accentrando la fornitura sostanzialmente sui soli  “Titoli”,  senza complementi di specificazione.

Il sistema produce basso livello conoscitivo (basso tanto) o , peggio, ignoranza. I primi a capirlo sono gli stessi studenti, fagocitati da un meccanismo  dotato sì di un  equilibrio ma sicuramente non-virtuoso.  D’altra parte sono quegli stessi studenti che arrivano in università con un bagaglio culturale imbarazzante, un livello di autostima penoso  e che, nella stragrande maggioranza dei casi, rifuggiranno  poi dal paragonarsi , men che mai dal competere, con consimili in ambito europeo.

Sollecitati, gli studenti spesso lo ammettono umilmente a gesti,  spesso assumendo pose antropomorfe, spesso balbettando espressioni dialettali nell’incapacità di esprimersi  in italiano corretto (tanto che si sentirebbe la necessità di partire addirittura dall’educare la dizione : uno straniero che conosca l’italiano, non si capaciterebbe sentendo – ad esempio – la parola “cono” pronunciata da un milanese, un fiorentino, un romano ed un barese).

Le lingue straniere li spaventano, come l’italiano.

Scrivere gli è problematico, dall’impugnare la penna (sì!) al formulare la frase compiuta.

La matematica , testandoli, sembra un’opinione. (Matematica! Il brivido lungo la schiena dell’alunno, dello studente e dell’universitario italiano!).

Mancano  di basilarità elementari, nulla sanno di Storia ad esempio, confondono le Guerre Mondiali, di Letteratura e Poesia, assolutamente niente a memoria, ammutoliscono di fronte ad una richiesta di analisi politica, l’abbattimento del Muro, per chi ne sa,  è stato un sit-in).

Purtroppo, questi studenti non sono aiutati dal sistema nostrano vigente: si interfacciano con un corpo docente frustrato dai baronati, non soggetto agli impulsi di alcuna incentivazione degna di tale nome, avulso da obiettivi pregnanti che non siano quelli del “saliresulcarrogiusto”, “aspettarelacommissionefavorevole”, “attenderelapropriaoccasione”, “acquisireilpunteggionecessario”…


Mi chiedo che timori abbiano quelli che hanno controbattuto a Pierluigi Celli su “la Repubblica” raccomandando agli studenti italiani  di restare in Italia: stiano tranquilli resteranno, resteranno qui, dove potrebbero andare, presentandosi dove, a chi e con quali skills competitive?

Sicuramente  i raccomandanti  (presidente Napolitano in testa) si rivolgono, come dicevo in premessa, agli studenti-veri, al citato “alto di gamma”, ai “cervelli”: ma quelli sono così intelligenti e capaci di leggere la realtà italiana che continueranno a scappare in attesa che il Sovrano risolva anche questo problema nazionale dopo aver risolto quello dell’immondizia napoletana.

 Io sono convinto, comunque, che potremo uscire dal tunnel, potremo salvare l’Italia della cultura, i sistemi ci sono sicuramente:  annettendoci nuovamente all’Impero Austro-Ungarico, ad esempio.


Quando ho chiesto alla settantina di miei studenti matricole del corso di studi di Marketing Generale della facoltà di Economia quanti litri corrispondessero al volume di un metrocubo, uno solo di loro ha rotto il silenzio tombale e per dire  che dipendeva dalla densità del liquido considerato. 

Quando ho porto la stessa domanda ai miei studenti del corso di studi di Business Management nel terzo anno di Economia, solo un terzo ha risposto correttamente …


FDA




9 Dicembre 2009 alle 20:11 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |
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