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Joshua Ferris “Non conosco il tuo nome”

di | in: Primo Piano, Recensioni


L’uomo senza radici Tim Farnsworth è il protagonista di questo romanzo ostico, stagnante, scontroso solo in apparenza. “Non conosco il tuo nome” è in realtà un titolo di cui probabilmente si parlerà ancora tra diversi anni. Trattasi del secondo romanzo di un autore di grande talento, Joshua Ferris, di cui Neri Pozza aveva già pubblicato il precedente “E poi siamo arrivati alla fine”: stavolta Ferris ha corso un gran bel rischio, scrivendo trecentocinquanta pagine piene di punti morti, di pericolosi avvallamenti di tensione, costringendo il lettore ad un lavorìo di morbosa attesa, ad una meditazione quasi zen, tranne poi ripagarlo con pagine commoventi, deliziose, quelle finali.
Per tutto il romanzo Tim fugge via dalla vita, complice una malattia incurabile che costringe i suoi piedi a mettersi in moto e a portarlo ogni volta in punti diversi della sua città, New York. I suoi rapporti familiari e il suo lavoro di avvocato finiscono inesorabilmente in un vortice autodistruttivo che non può essere in alcun modo arrestato. A nulla serve che la moglie Jane lo ammanetti a letto o lo chiuda in una stanza. Quando i piedi di Tim decidono di mettersi in moto non esiste opposizione umana in grado di fermarli, né, tantomeno, cura farmacologica. Psichiatri, neurologi e fior di luminari delle più svariate discipline mediche non riescono a risolvere l’enigma dell’uomo senza radici.
La malattia assume le sembianze, da un certo punto in poi, di una rivolta disarmata contro una civiltà incapace di vedere al di là dei suoi bisogni materiali, diventa una fuga into the wild, via anche da New York, ostinatamente il più lontano possibile dalla felicità. Martire di se stesso, dei suoi arti inferiori e dell’idea di benessere borghese della sua America, Tim finisce a dormire in tenda, al freddo, senza mangiare, lasciando le proprie dita andare in necrosi, riducendosi a vivere come bestia.
Romanzo che destabilizza, sia nel lungo racconto della malattia, sia nell’esito – forse liquidato più brevemente di quanto ci si aspettasse – in climax emozionale, “Non conosco il tuo nome” è un tentativo di dare un volto nuovo alla letteratura americana, facendo di quest’uomo senza radici e della sua coazione a camminare strumenti per reinventare il mito di un continente e del suo peregrinare. E se i padri nomadi London e Kerouac sono lontani da queste pagine, non meno di Bellow e Roth, McInerney e Easton Ellis, il tentativo può dirsi riuscito e davvero Ferris può accreditarsi come voce nuova, autorevole reporter del non sense globale post 11 settembre.




2 Giugno 2010 alle 17:43 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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