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Davide Tosches “Dove l’erba è alta”

di | in: Recensioni

Etichetta: Controrecords
Brani: Case / La tua stella / Completamente / I muri / Dov l’erba è alta / San Sebastiano – Ulan Bator / Il sentire / La sviolinata / Nell’aria / Deserto / Nell’ombra
Produttore: Giancarlo Onorato


Qua non si fanno dischi giusto per fare. Qua ci si immerge in un’aria torva che via via che acquista densità diventa acquitrino, melma. Lo si fa perché non si può fare altrimenti, non si può cantare di sole, mare e cazzate se l’immersione nel lato più buio delle cose della vita è un diritto acquisito al momento della nascita. Davide Tosches appartiene a quella cerchia di cantautori che ha nel torvo e nel melmoso il suo habitat naturale. Red House Painters, Low, Smog. Le coordinate sono quelle della cerchia di fratelli ombrosi, ma Tosches non è certo tipo da adagiarsi sul mero citazionismo e difatti il suo disco d’esordio non somiglia in modo così decisivo alla roba di nessuno dei musicisti appena citati, ma di quella roba ha lo stesso piglio severo, la stessa crudeltà.
Prodotto da Giancarlo Onorato, “Dove l’erba è alta” procede con passo felpato, evita l’immediatezza, pretende dedizione. E’ un disco di atmosfere rarefatte, spesso spettrali, e l’intro strumentale di Case è un mantra mefistofelico che rende bene l’idea dell’ambito emozionale che Tosches intende sondare. Completamente è un blues scarnificato nel quale il suono delle dita che si muovono sulla tastiera della chitarra, i rintocchi del glockenspiel e il lieve fondo del wurtlizer suonato da Onorato creano un clima di sacralità quasi biblica. La title-track è il crudo autoritratto di un uomo in perenne ricerca («ora sento che potrei camminare per giorni/senza più pensare/senza dare alcun nome ai sentimenti»). Nell’aria ha uno dei migliori testi dell’album e, nonostante il titolo faccia pensare il contrario, porta con sé un senso di claustrofobia («ora puoi vedere oltre al tuo impero/siamo solo mosche nell’aria/…/ora di chiusura in stanze di ospedale/e un ultimo respiro nell’aria»). Deserto è la mappa scolorita di un’anima non pacificata, e, anche se si possiede una voce cupa e ruvida, si canta come se si ululasse, con i piedi piantati nella sabbia rossa. Solo qualche raro momento di luce, come il ritornello de La tua stella o la melodia della conclusiva Nell’ombra, rischiara il buio generale. Ma non è un male perché a queste piccole scintille preferiamo senza dubbio i momenti oscuri, numerosi come gli inciampi della vita.
Austero, rigoroso nel suo peregrinare ad occhi chiusi, “Dove l’erba è alta” non è mai disperato. Siamo solenni qua, ci facciamo buio con ostinazione e la notte ci è compagna.




29 Luglio 2010 alle 22:11 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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