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Un esordio ai margini della società: intervista al cantautore Stefano Amen

di | in: Interviste

Stefano Amen “Berlino, New York, Città del Messico”

Nel panorama musicale torinese c’è un cantautore che parla di perdenti e cuori infranti, sbornie e viaggi, vita ai margini e ipocrisie borghesi. Il suo nome è Stefano Amen e il suo disco d’esordio, intitolato “Berlino, New York, Città del Messico”, appena uscito su etichetta Controrecords, ha il pregio di avvolgere l’ascoltatore in atmosfere scarne ed etiliche, con echi di country, blues e folk acido. Abbiamo rivolto alcune domande ad Amen per capire meglio l’immaginario delle sue canzoni.


Puoi raccontarci da dove viene Stefano Amen e come è arrivato a questo “Berlino, New York, Città del Messico”?
Vengo da una cittadina di nome Settimo Torinese in prima cintura di Torino. Sono cresciuto là. Là ho avuto le mie prime esperienze musicali suonando in qualche gruppetto e ho avuto la possibilità da subito di suonare dal vivo. Subito dopo le scuole superiori ho cominciato a frequentare assiduamente Torino fino ad andarci a vivere intervallando con periodi più o meno lunghi di vagabondaggio in Europa e in Italia. Dai 20 ai 25 anni ho smesso di suonare e mi sono occupato solo di annotare pensieri su dei quaderni che avevo sempre dietro. Quando sono tornato da un soggiorno di 3 mesi a Praga ho finalmente avuto una casa tutta mia e ho cominciato a registrare delle canzoni. Non ho mai più smesso.

Le canzoni di questo album come sono nate?
Fra viaggi reali o pensati. Cerco di trovare un ordine nel disordine. Scrivere per me significa anche questo. Di solito scrivo e registro molto. Ho scoperto che tra delle canzoni c’era un filo rosso e ho cercato di assemblarle dando loro una coerenza formale sia dal punto di vista musicale che poetico.


Che tipo di critica al nostro sistema di istruzione fai in “Crack”?
Ma sì, diciamo che “Crack” ha per me diversi tipi di interpretazione. Secondo i miei calcoli dice che nella vita di un fanciullo la cosa più importante dovrebbe essere avere una guida, come si legge nei racconti dei saggi orientali, quindi essere educato e non istruito. Poi se l’istruzione deve esserci dovrebbe dare espressione alla coscienza critica di un individuo fino ad indurlo a cercare la coerenza delle proprie azioni rispetto alle proprie idee. Vedo questo tipo di atteggiamento sempre più raro. Ho visto furgoni con l’adesivo di un fiore o altri simboli ecologisti lasciare scie di fumo nero con i loro tubi di scappamento. E questo è niente. Se ne vedono di continuo e di gravissime. Comunque di solito trovo che ci sia un grande divario fra quello che un uomo dice e quello che poi fa. Non credo che sia il risultato fallimentare della natura che ci ha concepiti come errore. Credo invece che le cause vadano cercate anche fra l’istruzione, che è poi l’espressione di una nazione. Credo sia la mia canzone più esplicita.

“Chi non beve del vino o liquore/spesso è scontento” e “un bicchiere di tequila ogni ora”: puoi spiegarci meglio i riferimenti alcolici presenti in alcune canzoni?
Sono cresciuto leggendo e frequentando personaggi che mai sono stati troppo allineati e ho imparato da ragazzo a vivere con loro. Se non è un gioco, come in “Tequila”, è un modo forzato, quasi volontario, di rimanere ai margini della società. In più è un cliché. Uno stereotipo letterario che riempie romanzi su romanzi. Io me ne servo, come mi servo di altri oggetti, per descrivere il mondo che vedo e le storie che voglio raccontare. In “Nessuno” per esempio chi racconta finisce per servirsi dell’alcol per tollerare la mediocrità della vita che finisce per vivere. In “Tequila” mi serve per raccontare le diverse personalità che abitano dentro un individuo.

Che tipo di traiettoria dell’anima hai voluto disegnare con le precise coordinate di Berlino, New York e Città del Messico?
“Berlino, New York, Città del Messico” è la canzone che dà il titolo all’album. Non sono mai stato in nessuna di queste città e per la verità le ho sempre escluse volontariamente dalle mie pellegrinazioni. Sono città che ho sempre idealizzato perché hanno in sé un immaginario molto forte per me. Ho usato proprio queste caratteristiche per scrivere di luoghi o persone ideali. Che rimangono perfette proprio perché ideali. Perfette ma anche lontane dall’esperienza sulla pelle, quella che io ho per forza di cose dovuto fare a Settimo Torinese crescendoci. Credo che per crescere però siano importanti entrambe le cose, le nasate e i sogni. Quindi ho scritto questa canzone. Mi è sembrato che desse al meglio il senso del filo rosso di cui parlavo prima. Il disco per me ha un valore di formazione. Una linea d’ombra. In tutte le canzoni del cd vi è un gioco di specchi fra il reale e l’immaginario, fra il mondo delle idee e le psicosi che tanto caratterizzano gli uomini che mi interessano.

Ci spieghi la poetica dell’”io ti perdono e tracollo”?
Spesso nelle relazioni amorose giunti ad una rottura, diciamo pure violenta, si tende ad accusare e a pretendere delle scuse. Qui il personaggio della vicenda si chiude invece in un ermetico abbandono di sé. Lo fa senz’altro evitando di includere le colpe del partner. Decide semplicemente di abbandonare tutto e tutti. Nella vita di strada ho conosciuto molti uomini e donne che finivano di fare i barboni in seguito ad un fallimento matrimoniale.


Come presenterai dal vivo “Berlino, New York, Città del Messico”?
Penso che tutti i concerti di “Berlino, New York, Città del Messico” li farò da solo chitarra e voce. Soltanto in qualche occasione particolare potrebbe  succedere in trio (con batteria e basso). Trovarti da solo di fronte al pubblico è un’esperienza molto forte. In più le canzoni di questo cd hanno un poco la pretesa di essere così. Nude, frugali, senza ghirigori. Cerco di rispettarle.


I tre dischi più importanti della tua formazione musicale?
Senz’altro “Opel” di Syd Barrett, il primo di Paolo Conte che s’intitola Paolo Conte e “Patriots” di Franco Battiato.




27 Aprile 2011 alle 17:08 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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