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Bill Carrothers Trio, il romanticismo, l’energia, il gioco

di | in: Primo Piano, Recensioni

Bill Carrothers Trio

Sulle note di Clifford Brown l’improvvisazione della band statunitense

 

di Emanuela Sabbatini


MACERATA – Sabato scorso al teatro Lauro Rossi di Macerata si è consumato il penultimo step della rassegna Jazz targata Paolo Piangiarelli&Musicamdo. Il pubblico non ha risposto numeroso alla chiamata del Carrothers Jazz trio e, per certi versi, è stato un peccato. È vero che nel corso della rassegna si è visto di meglio, ma Bill Carrothers rimane pur sempre un istrione del piano e ascoltare come la tromba di Clifford Brown diviene strumento a tasti, desta una qualche curiosità. 

L’illuminazione gioca di dettaglio e fa emergere dal buio la lunga scalinata dei tasti bianchi del piano a coda, un sorriso smagliante da Stregatto. 

Un ritmo molleggiato ripetuto riscalda il pubblico in sala e solo quando la base è ipnotizzata nella regola, entra la melodia del piano, una gioiosa esuberanza stilistica, pronta al gioco e al fraseggio. L’eclettismo di Bill Carrothers, capace di passare da momenti di riflessione a corse esilaranti, apre spazi agli assoli di Drew Gress al contrabbasso e al matched grip di Bill Stewart alla batteria. Proprio quest’ultimo  non ci pensa due volte ed evolve da ritmo a melodia. Cede al fascino dell’assolo e rischia, in una occasione, il virtuosismo solitario che non accenna a dialogo. Ma è solo un momento, l’iniziale, poi riascolta i compagni e riprende il fraseggio. Drew Gress fa del suo contrabbasso uno strumento a tutto tondo. Nella velocità di esecuzione non sporca mai il suono, mantiene la ritmica e l’aggressività tagliando l’armonia con eccezionali assoli e rivisitando il walking bass. Tra un pezzo e l’altro, uno spazio d’attesta attesta, come se ce ne fosse bisogno, l’improvvisazione del concerto. Nulla è preconfezionato, Bill Carrothers si ascolta e decide di volta in volta qual è la voce che gli grida dentro. E il piano, a tratti, sembra sdoppiarsi, essere al contempo il positivo e il negativo della matrice, assumendo quasi una doppia voce, in un dialogo allo specchio  tra tutte le sue anime.

I momenti di piano solo, mostrano un aspetto più intimo della scrittura improvvisata di Bill Carrothers, una malinconia tiepida, che però mai cede alla disperazione e che in un secondo momento viene sgrassata dal metallo di una batteria spazzolata.

I colori si tingono di rosso quando il tango si fa base sulla quale giocare; il contrabbasso suona con l’archetto fingendosi violino cupo, la batteria esaspera il ritmo affidandosi a manate sulla membrana, il piano cadenza il ritmo di 3/4.

Chi ha creduto nel trio statunitense, e ha comprato il suo posto in sala per assistere al concerto, non se ne è pentito e dimostrazione ne è stata lo scrosciare di applausi e la fila al botteghino per acquistare i cd del pianista di Minneapolis.

L’appuntamento ora è per il 21 aprile, uno special guest come il trombettista Fabrizio Bosso si affianca alla Colours Jazz Orchestra marchigiana.




5 Marzo 2012 alle 19:30 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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