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Anna Maria Cancellieri all’UniUrb: Cultura della legalità

di | in: Cronaca e Attualità

UniUrb

 Prolusione tenuta dal Ministro Anna Maria Cancellieri in occasione dell’incontro tenuto presso l’UniUrb il 24 ott 2012

 

 

Sono particolarmente onorata di essere oggi nell’Aula Magna di questa storica Università e ringrazio tutti i presenti e, in particolare, il Magnifico Rettore per avermi annoverata tra le personalità a cui conferire il prestigioso Sigillo Accademico, emblema della lunga e nobile tradizione culturale di questo Ateneo e dell’intera Città di Urbino, e già in passato assegnato a personaggi di grande rilievo del mondo religioso e laico.

Ed è proprio in questa sede così ricca di suggestioni che vorrei condividere con Voi una riflessione sul tema della legalità, prendendo le mosse da una accezione più sostanziale che formale del termine.

Sono convinta, infatti, che ogni discorso sulla legalità, ma anche sulla sicurezza, che in qualche modo ne è il precipitato, ha un significato compiuto solo se collegato al particolare contesto storico-istituzionale e sociale in cui si colloca.

Partendo, dunque, dalle questioni di contesto dobbiamo essere consapevoli, quando parliamo di legalità e ancor più di sicurezza, che agiamo in uno scenario complesso che è tale perché è di per sé complicata la situazione in cui ci troviamo.

Per la complessità dello scenario interno, ma anche di quello internazionale.

È in tale quadro, pertanto, che dobbiamo interrogarci oggi sul significato di legalità e sicurezza, intesi non solo come modello ideale di valori e di fini da raggiungere, ma come modus operandi, come grado di effettiva attuazione di tale modello.

Se dovessimo, infatti, ragionare solo in termini ideali la risposta all’interrogativo si risolverebbe in un semplice giudizio di corrispondenza del nostro apparato di norme ai fondamentali dello Stato di diritto, incentrati sul principio della separazione dei poteri e del primato della legge.

Quando però la riflessione si sposta sul piano della interiorizzazione di norme e valori da parte della comunità civile, allora entriamo nel pieno del tema della legalità, intesa non come principio formale ma come espressione e fattore di sviluppo culturale.

Ecco allora che entra in campo la necessità di un approccio più ampio e complesso a questo tema, che ne sappia cogliere alcuni aspetti fondamentali.

In primo luogo la questione del rispetto della regola e il senso del valore della regola.

Se non si recupera la regola come valore, non si recupera il senso del principio di legalità.

Ed è prima di tutto compito dello Stato – e quando parlo dello Stato intendo riferirmi a tutte le sue componenti – far passare l’idea che la legalità, il rispetto, cioè, delle regole democraticamente poste, è un valore che fa parte del più ampio sistema dei principi su cui poggia il nostro assetto istituzionale.

Il secondo aspetto da cui non si può prescindere se si vuole affrontare la questione della legalità in termini sostanziali, è quello della partecipazione.

Partecipazione che non è semplicemente un principio di informazione ma è il modo attraverso il quale noi cittadini diventiamo co-autori della regola, coprotagonisti della vicenda e corresponsabili nella cittadinanza sociale.

L’ulteriore contenuto che dà corpo alla legalità è il principio del controllo democratico.

Noi non abbiamo bisogno di legalità soltanto formale, cioè di quella legalità che ci dice che un’azione è conforme alla normativa astratta prevista dalla legge. Il principio di risultato non è soltanto un aspetto del buon andamento dell’articolo 97 della Costituzione, ma è un modo di concepire come si fanno le riforme.

Dobbiamo capire che la riforma è un processo che va portato avanti giorno per giorno e che anche la cultura della legalità implica un “processo della legalità”, una implementazione quotidiana frutto della capacità di raccogliere risultati attraverso l’applicazione di una legge che viene dalla partecipazione di ciascuno, e di cui ciascuno si assume la responsabilità dell’attuazione.

In questo quadro, anche l’azione di controllo della Pubblica Amministrazione sul rispetto del principio di legalità deve necessariamente cambiare, passando da un’azione di verifica del rispetto formale delle regole a un sistema di controllo collaborativo dell’attuazione dei diritti di cittadinanza sociale e di libertà economica.

Il sistema delle istituzioni, dunque, in un paese moderno che voglia promuovere una vera e autentica cultura della legalità, deve essere un sistema in grado di dare corpo a quei diritti che sono scritti nella Costituzione e di renderne possibile il raggiungimento, da parte di chiunque.

Cittadinanza sociale da una parte, libertà dall’altra.

Lo stesso discorso vale per il tema della sicurezza che è strettamente connesso a quello della legalità.

Anche in questo campo la dimensione del termine è profondamente influenzata dal processo di integrazione europea, nel cui ambito il concetto della sicurezza è indissolubilmente legato ai temi della libertà e della giustizia.

È grazie anche a questo processo di allargamento, non solo spaziale dei confini di tale concetto, che ormai da tempo il bene sicurezza, anche nel nostro Paese, non viene più associato alla adeguatezza della risposta repressiva della delinquenza, quindi ad una capacità di efficienza tecnica degli apparati difensivi dello Stato, ma anche (e sempre più spesso) alla capacità di tutela di altri beni di valore sociale, affidati ad altre istituzioni, in special modo a quelle locali.

Penso, ad esempio, alla qualità della vita urbana, ai problemi del degrado e dell’inciviltà, cioè a quell’insieme di situazioni, tipicamente di contesto cittadino, che, per dire il vero, erano entrate con il solito anticipo rispetto all’Europa e all’Italia – all’incirca un decennio prima – nell’orbita di ricerca della letteratura sociologica statunitense.

E’, purtroppo, ancora acceso il dibattito sulle famose Vele di Scampia, uno dei simboli del rapporto, buono o cattivo, che può intercorrere tra lo sviluppo architettonico di un quartiere e il perseguimento di beni valoriali, quali la sicurezza e la coesione sociale. E’ stato ricordato, in proposito, che Michael Kimmelman, critico di architettura del New York Times, afferma che in zone povere, socialmente pericolose, un buon “pezzo” di architettura, oltre ad essere fonte di orgoglio per il quartiere, può diventare il luogo in cui si riconosce una comunità e può, quindi, innescare un sentimento di appartenenza, di responsabilità sociale, rappresentando “quasi un simbolo intorno a cui si costruisce una nuova identità del quartiere”.

La sicurezza, coniugata all’attenzione verso altri importanti e imprescindibili fattori della vita civile e sociale della comunità, viene ad acquisire, a mio parere, una connotazione aperta e inclusiva, che ne attenua il significato tipicamente difensivo che invece cogliamo nelle strumentazioni di puro contrasto.

Parafrasando liberamente il grande filosofo inglese Isaiah Berlin, che distingue efficacemente la dimensione positiva della libertà da quella negativa, potremmo discernere l’esistenza di una sicurezza positiva, i cui obiettivi non si risolvono soltanto nell’abbattimento dei livelli delinquenziali, nello sconfiggere il crimine, eliminandone ogni influenza, ma implicano qualcosa d’altro.

Ecco allora che, come per la legalità, il discorso sulla sicurezza non si risolve più in uno scrutinio di valutazione dell’efficacia del funzionamento del meccanismo violazione della norma/erogazione della sanzione, quanto piuttosto appare incentrato sui temi della garanzia del rispetto e dell’espansione dei diritti fondamentali di libertà e giustizia.

Promuovere la cultura della legalità, così come assicurare condizioni di sicurezza, significa, dunque, oggi come oggi, intraprendere un percorso articolato e complesso che interseca questioni di natura sociologica, economica, politica e anche etica.

Tra le questioni più urgenti, vi è senz’altro quella della sicurezza economica. Senza di essa non vi è, né vi potrà mai essere vero sviluppo. Non sono un’economista, ma percepisco la profonda verità di chi afferma che il peso della criminalità organizzata in certe aree del nostro Paese può essere paragonato alla più odiosa e ingiusta delle tasse, che succhia e sottrae risorse, umilia e avvilisce le energie migliori, contribuisce essa stessa a determinare le condizioni di cronica arretratezza e insufficiente infrastrutturazione.

L’attività carsica delle mafie, la loro capacità di mimesi con il contesto, cioè di insinuarsi silenziose e discrete assumendo quella consistenza liquida che tanto ricorda la metafora sociale di Baumann, chiama in causa la loro trasformazione anche antropologica, la loro più recente vocazione a diversificare le forme di investimento e di allacciare fruttuose alleanze rifuggendo dalla violenza, semplicemente perché non è più necessario farvi ricorso.

Una economia liberata dal condizionamento della criminalità organizzata, quindi più sicura, risponde naturalmente a un criterio di giustizia, nel senso che vengono eliminati i vincoli, in questo caso di origine criminale, ad una piena e libera espansione delle potenzialità economiche dei territori e delle persone.

Il contrasto alla criminalità economica è dunque fondamentale. È con questa consapevolezza che la mia azione e quella di tutto il Governo è stata diretta a rafforzare i presidi di legalità nel sistema degli appalti, della sottrazione dei beni alla disponibilità dei mafiosi, ed al contempo, della restituzione degli stessi nel circuito dell’economia legale.

Ma altrettanto urgente è il tema della valorizzazione dei comportamenti virtuosi, non solo nel campo dell’economia – cito ad esempio i recenti strumenti del rating di legalità e delle white list – ma anche in quello delle istituzioni e della correttezza dell’agire di chi opera a servizio del bene comune.

Una cultura della legalità dunque che si risolve in una prassi della legalità, in un habitus, in una tensione civica ad agire per il bene comune.

Sotto questo profilo mi rendo conto che, per quanto indispensabile possa apparire dotarsi di un sistema di regole ancora più incisive che pongano argine al fenomeno della corruzione – in tal senso assume una particolare rilevanza il recente provvedimento normativo sul tema – il nostro Paese, intendo dire gli individui, le persone che compongono la società civile, abbiano bisogno di riprendere confidenza e fiducia con il sistema delle regole intese come espressione di valori condivisi.

Personalmente ritengo che tale percorso virtuoso debba necessariamente fondarsi su un rinnovato patto tra la politica, le istituzioni e la società civile che consenta di far crescere la fiducia nelle regole.

Per questo motivo noi rappresentanti delle istituzioni, ma anche voi rappresentanti del mondo della cultura, dobbiamo sentire forte la responsabilità e l’impegno in quanto possiamo svolgere un ruolo fondamentale per rafforzare nella cittadinanza un senso di condivisa appartenenza al sistema Paese.




25 Ottobre 2012 alle 0:59 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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