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Lo strano romanzo di Natale di Raffaello Ferrante: intervista all’autore

di | in: Interviste

“Orecchiette Christmas Stor” (‘round midnight edizioni, 2013)

“Orecchiette Christmas Stori” è il contro-romanzo di Natale pubblicato nelle scorse settimane da Raffaello Ferrante per ‘round midnight edizioni. Il libro racconta cinque vite che trascinano la loro precaria umanità dentro e fuori la Sala Bingo Omero, in una Bari vorticosa, adulterata e nient’affatto rassicurante. Abbiamo rivolto alcune domande a Ferrante che, oltre che scrittore, è anche caporedattore della webzine Mangialibri.

 

 

Sei autore di diversi racconti, ma “Orecchiette Christmas Stori” è il tuo primo romanzo. Benché si tratti di un romanzo breve, com’è stato misurarsi con la dimensione più ampia di un romanzo?

E’ stato tutto abbastanza casuale e naturale. Dopo aver sperimentato per anni la forma del racconto avevo voglia di cimentarmi con qualcosa di più complesso. Non che scrivere racconti non sia complesso, anzi, ma sicuramente richiede un impegno mentale più breve e pone problematiche differenti. Ma allo stesso tempo non è che fossi ossessionato da questa esigenza. Così quando ho avuto voglia di scrivere una storia corale, ho capito che si poteva trovare il giusto compromesso. Dover infatti raccontare e seguire più personaggi e più trame in contemporanea, da un lato mi ha permesso di ragionare sulle singole storie come fossero singoli racconti, dall’altro mi ha dato però l’opportunità di sviluppare una struttura che, pur nella sua brevità – poco più di cento pagine, a dimostrazione che la differenza tra racconto e romanzo non è certo nella lunghezza – avesse i crismi classici e la completezza strutturale del romanzo.

La cosa che colpisce subito di “Orecchiette…” è la lingua scoppiettante ed ardita. Com’è nata?

La lingua che ho utilizzato è nata come supporto per la storia che volevo raccontare. Avendo infatti in mente di descrivere un determinato ambiente e determinati personaggi, non avevo altra scelta che  far sentire le loro voci originali, senza filtri o doppiaggi. Sarei stato poco credibile – e disonesto – se avessi messo in bocca che so a ‘U Mazz – il pregiudicato cocainomane che bazzica i più lerci bassifondi baresi – una lingua forbita o dialoghi da lord inglese. Poi chiaro che un certo stile di fondo mi appartiene e mi segue all’interno di tutti i miei lavori.

Hai dei precisi riferimenti letterari per la tua prosa?

No, quanto meno a livello conscio. Anche perché leggendo da anni moltissimo per Mangialibri mi rendo conto alla fine di aver sviluppato una sorta di schizofrenia stilistica, figlia di generi e penne diversissime tra loro. Questo frullato finale certamente nel momento in cui poi ti metti a scrivere, fatalmente viene fuori sotto forma di stile personale. Poi chiaro che l’occhio di Carver verso l’intimità umana o l’ironia disarmante e dissacrante di Bukowki oppure l’architrave narrativa dei romanzi di Kundera o il realismo critico di Moravia, son tutti bagagli che in un modo o nell’altro all’occorrenza saltano fuori.

“Orecchiette Christmas Stori” è un libro molto cinematografico. Avevi in mente qualche film in particolare durante la scrittura?

Qualcuno ha visto in “Orecchiette” un certo ‘pulpismo’ tarantiniano, ma, al di là della – piacevolissima – follia del paragone con cotanto mostro sacro, devo dire che non è esattamente quello il cinema che prediligo. Preferisco il più cupo e cinico realismo alla Monicelli o alla Garrone, mi piace chi riesce a indagare le miserie umane condendole con un malinconico velo d’ironia. Nello specifico per esempio, l’idea di “Orecchiette” mi è germogliata dalla suggestiva e curiosa commistione di due romanzi (“Montezuma airbag your pardon”, di Nino G. D’Attis e il racconto “L’ultimo capodanno dell’umanità” della raccolta “Fango” di Ammaniti) e di un film ai più sconosciuto, “Camerieri” di Leone Pompucci.

I personaggi non sono mai positivi. Come mai questa scelta?

I personaggi non sono mostri o zombie di chissà quale specie. Sarebbe stato consolatorio tutto ciò. Invece, purtroppo, a parte probabilmente il malavitoso U’ Mazz, gli altri sono tutti uomini e donne ‘normali’, borghesi, solo schiavi e vittime ognuno a loro modo delle peggiori frustrazioni del tempo che vivono. Sono quelli che comprano sogni e tv al plasma a rate, quelli che pensano di chiudere il buco nero che hanno dentro tentando la fortuna al superenalotto o peggio ancora al Bingo, eldorado per poveri cristi e malavitosi di ogni taglia. Quel briciolo di lucida autocoscienza che gli è rimasta, se la giocano la notte della vigilia di Natale, provando in qualche modo a modificare un destino al quale hanno tutti da tempo rinunciato ad apporsi. Un destino che fatalmente allo scoccare della mezzanotte finirà ancora una volta per decidere al posto loro.

Negli ultimi anni ci sono stati molti testi che hanno raccontato Bari (penso a Lagioia, Lattanzi, etc). Credi che la tua città sia stata raccontata in modo esaustivo? O che ci siano ancora molte zone d’ombra nelle quali la narrativa debba ancora trovare l’ardire di spingersi?

I due grandissimi che hai citato sono stati in effetti tra i primi a mettere Bari sotto i riflettori mostrandone le sue problematiche e contraddizioni. Lagioia analizzando il contrasto negli anni 80-90 tra la Bari da bere dei quartieri ‘bene’ murattiani e la desolazione del quartiere dormitorio Japigia, all’epoca vero e proprio supermercato dello spaccio, e la Lattanzi ancor più, mettendo al centro del suo lavoro una Bari – e nello specifico ancora una volta Japigia, quartiere dove io stesso, tra l’altro sono cresciuto – amata/odiata e prima vittima di tradimento da parte della protagonista del suo romanzo. Certo il degrado e la malavita sono al centro anche del noir di Alessio Viola ma penso per esempio ad “Apocalisse da camera” di Andrea Piva (fratello tra l’altro di Alessandro, regista nel ’99 del film cult “Lacapagira” che probabilmente è stato il vero apripista per sdoganare i successivi successi cinematografici o letterari con Bari come protagonista) dove al centro c’era la Bari bene, viziata e viziosa di professori e avvocati, lontana anni luce dal degrado delle periferie.

Ultimamente hai partecipato anche a “In territorio nemico”. Che tipo di contributo hai dato al progetto? E come giudichi a freddo l’esperimento SIC, ora che sono passati alcuni mesi dall’uscita del romanzo collettivo?

L’esperienza di “In territorio nemico” è stata senza dubbio la più importante esperienza che ho maturato in questo campo. E’ stato un po’ come quegli stage estivi che la grandi squadre di serie A concedono alle giovani speranze. Ora, tolto che io non sono più né giovane né tanto meno speranza, l’effetto è stato più o meno quello. Non facendo questo mestiere di professione ho potuto vedere da vicino quale macchina lavorativa si cela dietro un ‘semplice’ romanzo. Dalla lunghissima gestazione, alla composizione – a cui ho contribuito con la scrittura di numerose schede – fino alla gioia di ritrovarsi nella mitica collana Nichel di Minimum Fax, passando per le centinaia di presentazioni, persino all’estero, fino all’enorme successo di critica e pubblico. Lavorare al fianco di professionisti geniali come i fondatori Sic Santoni e Magini ti fa vedere cosa c’è realmente di là del guado.

Continui a portare avanti la tua attività di caporedattore per Mangialibri. Qual è lo stato attuale di una webzine che parla di libri?

Mangialibri con la sua militanza decennale è oramai tra le più longeve webzine nazionali e nonostante alti e bassi gode non solo di ottima salute ma nel tempo ha avuto persino il tempo e la pazienza di vedere promettentissimi e sbandieratissimi siti fatti di grandi firme dell’editoria accartocciarsi su se stessi in pochi mesi. Questo grazie ad una solidissima base di redattori e ad uno zoccolo duro di affezionati lettori. Siamo la piccola comunità che pur non appartenendo a nessun grande gruppo, fa numeri da capogiro in termini di visite e grazie all’inossidabile e inalterata mission del suo decano David Frati – quella di non recensire i soliti dieci titoli più in vogue che critici e scrittori si palleggiano a turno tra di loro su giornali e inserti culturali, ma di leggere (ebbene si, noi i libri che recensiamo abbiamo il brutto vizio di leggerceli tutti) e recensire senza alcun razzismo di sorta qualsiasi genere – rimane un punto di riferimento quotidiano per tutti coloro che amano i libri tout court, senza snobistiche puzze sotto al naso.




14 Febbraio 2014 alle 14:46 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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