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Ingo Schulze “Adam e Evelyn”

di | in: Primo Piano, Recensioni

 

“Il Muro non c’è più,” disse Marek.
“Chi è che racconta queste sciocchezze?” chiese Evelyn.
“Tutti! In televisione non si vede altro che Berlino, tutti corrono dall’altra parte, già dalla notte scorsa. Siete le uniche a non saperlo. Lo giuro!” Marek alzò la mano. “Aspettate!”
“Marek, no, ti prego!”
Marek andò verso una coppia di anziani. “Scusate, la mia ragazza non ci crede che a Berlino non c’è più il Muro.”
Sì, è vero,” disse l’uomo. La donna annuì. L’uomo si toccò il cappello. Proseguirono.
“Allora,” esclamò Marek, “mi credete adesso?”

 

 

Pulsante, libero, vivace e un pelo malinconico, l’ultimo romanzo di Ingo Schulze, quarantasettenne scrittore di Dresda già noto al pubblico italiano per i precedenti “Vite nuove” e “Bolero berlinese”, racconta la storia di un sarto, Adam, che sa vestire le donne come pochi altri e che per tale motivo dalle donne è amato, non solo platonicamente. Adam è fidanzato con l’altra metà del titolo, Evelyn, che, quando lo sorprende in casa con le mani nel sacco, peraltro con una donna grassa e in là con gli anni – Adam sa che con i suoi abiti addosso qualsiasi donna finisce per essere desiderabile – scappa via, va in vacanza sul lago Balaton con la sua migliore amica e il cugino di lei. Da questo prologo si snoda un romanzo pieno di dialoghi, un testo ai limiti della sceneggiatura, con una nuvola di sottinteso a smussare gli spigoli e a mostrare emozioni autentiche dal taglio lieve, occhi umidi e bocche con gli angoli all’insù. Adam segue Evelyn attraverso i confini cecoslovacco e ungherese, bisticcia con l’amica, si ingelosisce del cugino e carica nella sua decrepita Wartburg 311 una giovane fuggiasca bramosa di Occidente.
Potrebbe essere una normale storia di passioni e di fughe, di riconciliazioni poco convinte e di incomprensioni perenni, se non fosse per il momento storico in cui si svolge. E’ l’estate del 1989, la vigilia della caduta del Muro di Berlino. Il Paese più dinamico tra quelli al di là della cortina di ferro, l’Ungheria, apre le frontiere ai cittadini della DDR, così nel volgere di pochi sconvolgenti e pazzi giorni, Adam e Evelyn si ritrovano in Baviera, senza la loro patria, in un mondo estraneo e estraniante in cui è permesso fare quel che si vuole, comprare il comprabile e vendere il vendibile, nel regno dell’abbondanza, in «un’inflazione che seppellisce tutto». Lasciano il socialismo per abbracciare non si sa bene cosa, per abbracciare qualsiasi cosa, purché libera, e l’agrodolce commedia degli equivoci, in cui ci si ama e ci si tradisce, si torna insieme e ci si odia, diventa la testimonianza di un periodo storico irripetibile.




31 Ottobre 2009 alle 18:54 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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