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Piersandro Pallavicini “Romanzo per signora”

di | in: Primo Piano, Recensioni

“Romanzo per signora” (I Narratori, Feltrinelli, 2012 – pag. 272; euro 17)


«Un appello: non sorridete a un uomo soltanto perché ha i capelli d’argento ed è ben vestito. Mai. Nemmeno se vi sembra decrepto, mummificato. Nemmeno se le sue gambe traballano. Lasciatelo in pace, grazie. Soprattutto se si tratta di me.»


Che “Romanzo per signora” sia un romanzo sulla vecchiaia non tragga in inganno: quella raccontata da Pallavicini è una vecchiaia caustica, livorosa, a tratti – quando la debilitazione fisica concede delle oasi di pace – straripante. Lo scrittore lombardo, già autore tre anni fa di un romanzo, “African Inferno”, in cui trattava un tema non certo nuovo come quello del razzismo in un modo totalmente inedito, possiede evidentemente il talento di regalare ai suoi intrecci prospettive mai banali: raramente era capitato di trovare una terza età così indocile nelle pagine di un libro.
I cinque settantenni in trasferta in Costa Azzurra a bordo delle loro Jaguar sono un ossimoro che non stride, come se la terza età facesse da sempre rima con il rock’n’roll. L’esilarante quintetto, specie nella sua parte maschile, ha l’ostinazione a voler accelerare, nonostante le malattie (più o meno gravi) che ne minano la salute, a non demordere davanti alla fine che s’ingigantisce all’orizzonte ogni giorno di più. Tutto pur di non alzare bandiera bianca. Cesare brucia grosse quantità di hashish per curare i disturbi di una sclerosi multipla primitivamente progressiva, come consigliato dal fido neurologo Scanavino. Attilio ha recentemente perso sua moglie ma non rinuncia ad alcune bizzarrie che farebbero inorridire i buoni salotti e le cene rotariane a cui è solito presenziare se solo le rendesse note. Luciano è, più semplicemente, andato fuori di testa, la sua arroganza diventata ingestibile e pericolosa, d’altronde lui è sempre stato «uno sbruffone così tronfio e rozzo che la prima volta che l’avevo visto ricordo di aver pensato: questo dev’essere l’uomo che ha inventato le scoregge».
Poi ci sono la figura dannata dello scrittore Leo Meyer, la morte assistita nella clinica del Dr. Doinel, la misteriosa scomparsa del Buttafava, le figure di donne per metà timorate e per metà capziose, tutti ingredienti che contribuiscono a tenere alta la tensione per tutte le duecentosettanta pagine e a non cancellare mai il sorriso di chi legge, ingredienti che Pallavicini dosa con maestria e con il consueto tocco esteta.
Ulteriore motivo di interesse è la sottotraccia a cui gli appassionati della nostra letteratura recente non mancheranno di prestare attenzione: Cesare è un ex direttore editoriale e, attraverso il suo ruolo nel lancio di un talentuoso esordiente, il già citato Meyer, poi diventato scrittore di successo, si intravede la storia della narrativa italiana degli ultimi trent’anni, tra mode più o meno durature, casi editoriali e flop clamorosi, giovani di talento e bidoni spariti con una folata di vento.




17 Aprile 2012 alle 23:25 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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