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Phosphorescent “Here’s To Taking It Easy”

di | in: Primo Piano, Recensioni


Etichetta: Dead Oceans
Brani: It’s Hard To Be Humble (When You’re From Alabama) / Nothing Was Stolen (Love Me Foolishly) / We’ll Be Here Soon / The Mermaid Parade / I Don’t Care If There’s A Cursing / Tell Me Baby (Have You Had Enough) / Hej, Me I’m Light / Heaven, Sittin’ Down / Los Angeles


Ascolto il nuovo disco dei Phosphorescent da quasi tre mesi e solo ora ne scrivo perché trattasi di un lavoro da metabolizzare molto lentamente, uno di quei dischi che, se ti emoziona la wave, con tutta probabilità troverai ammorbante ma, se sono l’America e i suoi spazi – l’accezione topografica in questo caso è la meno importante, la geografia di riferimento è quella dell’anima – a setacciare il fondo della tua vita, ti cullerà per molte notti, con nenie e sogni, miscele e fumi di solitudini larghe e preziose come un continente.
La materia musicale è tutt’altro che innovativa, tra folk di frontiera e alt-country, ma Matthew Houck ha il pregio di saperla modellare stillandoci ispirazione, originalità e soprattutto un pathos rari in un genere uguale a se stesso da anni. In “Here’s To Taking It Easy” si assiste all’evoluzione del suono Phosphorescent, al suo farsi corposo, e forse fin troppo classico, senza peraltro deragliare del tutto dai binari di uno sciamanesimo che Houck sembra portare nelle corde vocali da sempre. Come finestre aperte sugli incanti nascosti dietro ogni distesa d’America, le nove tracce funzionano proprio grazie ad un’interpretazione ogni volta impeccabile.
It’s Hard To Be Humble, la traccia d’apertura, è una sorpresa, non (solo) per il testo venato di ironia, ma per il coloratissimo arrangiamento in cui sulla chitarra elettrica e sul piano si stratifica uno spericolato diluvio di fiati che fa della band una fanfara alle prese con un tramonto ubriaco dell’Alabama. Nothing Was Stolen e We’ll Be Here Soon sono quadretti sentimentali che fanno del country una questione di impressionismo emozionale: piccoli tocchi per materializzare allusioni e silenzi, speranze e brindisi, lontananze e riavvicinamenti. Quadretti sentimentali nel modo più squisito che si possa immaginare. I Don’t Care If There’s A Cursing è il momento Wilco che mancava al precedente repertorio Phosphorescent, con un testo anaforico e trascinante («I don’t care if you like me/I don’t care if you don’t/I don’t care if you fight me/I don’t care if you won’t/I don’t care if there’s lightening/I don’t care if there’s smoke»). Hej, Me I’m Light è il mantra che ti aspetti dal santone che è in Matthew, con un impasto vocale ipnotico e una ritmica in crescendo che strania e trascina in un qualche luogo della mente ancora da esplorare. Los Angeles è il viaggio elettrico in una città che ha il sapore amaro della morte, nove minuti in cui Neil Young e Will Oldham se ne vanno in giro a braccetto, come animali notturni dall’andatura poco stabile. E la città degli angeli torna come vertice sanguinante nel triangolo finale dell’amore di The Mermaid Parade, il pezzo migliore di “Here’s To Taking It Easy”, tra il Messico e Coney Island. The Mermaid Parade, che varrebbe da sola l’acquisto del disco, è il genere di ballata che, se si è sensibili a certe argomentazioni del cuore, è capace di struggerti e stenderti: tre accordi che si ripetono per tutta una canzone in cui l’amore in frantumi si autoripercorre a ritroso fino ad un’imprecazione che buca tutto ciò che è possibile bucare, in una giornata segnata dalle lacrime e dalle sirene («and then our two years of marriage/in two short weeks somehow just slipped away/and I know all about your new man/your new older, old man and I heard that he’s married/ah you be careful Amanda/and yeah I found a new friend too/and yeah she’s pretty and small/but god damn it Amanda, oh god damn it all»). Non serve aggiungere altro, no?




22 Agosto 2010 alle 19:48 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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