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Marco Parente “La riproduzione dei fiori”

di | in: Primo Piano, Recensioni

“La riproduzione dei fiori” (Woland, 2011)


Etichetta: Woland / Goodfellas
Brani: Il diavolaccio / La riproduzione dei fiori / C’era una stessa volta / Sempre / La grande vacanza / Badman / L’omino patologico / Il diavolo al mercato / Dj J / Shakera bei / Dare avere
Produttore: Marco Parente


Ad un lustro di distanza dal progetto “Neve ridens” – due album gemelli usciti su etichetta Mescal nel settembre 2005 e nel febbraio 2006, intitolati rispettivamente Neve (Ridens) e (Neve) Ridens – Marco Parente torna con un album in cui è la forma canzone a farla da padrona. Certo, la forma canzone scelta da Marco è di quelle mai scontate e sempre attente ad ogni minimo dettaglio, a partire dagli arrangiamenti curatissimi, passando per il solito gran lavoro sulla voce, per arrivare ai diversi riferimenti più o meno nascosti che il disco si diverte ad offrire (c’è un bel pezzo di storia del rock, per esempio, nella coda de L’omino patologico, dove si omaggia Sympathy For The Devil).
Il diavolaccio, splendido chitarra e voce, già noto dall’omonimo spettacolo teatrale del 2009, la quasi radio friendly title-track, la grintosa C’era una stessa volta, con l’occhio strizzato ai Proiettili Buoni, la sognante Sempre, con gli archi arrangiati nientedimenoché da Robert Kirby, storico arrangiatore di Nick Drake, La grande vacanza, tuffo in una psichedelia multicolore e commovente  in cui pare di sentire il rumore dolce e lontano di Robert Wyatt e dei Radiohead che fanno insieme castelli di sabbia, sono canzoni che girano.

Per il tempo di questi cinque pezzi, “La riproduzione dei fiori” è un inaspettato capolavoro. Marco sembra aver  trovato una via matura alla bellezza, senza ritrarsi in eccessi di rarefazione come accaduto altre volte ma riempiendo le canzoni di colori e profumi che hanno il merito di rinfrancare dal marcio che si è costretti ad ingollare tutti i giorni.
Nella seconda parte de “La riproduzione dei fiori” la tensione inevitabilmente cala ma se Badman, unica traccia in inglese, e Dj J, con la sua leggerezza rintoccante di glockenspiel, non convincono appieno, poco male, visto che preparano il terreno al gran finale: Dare avere, ultima traccia, vertice assoluto del discorso amoroso che, tra demoni e fiori, Marco scandaglia con l’autorità del poeta per tutto il disco. Andrea Alluli crea un tappeto di pianoforte su cui parole cariche di suggestioni («c’è una strada che scorre nelle vene/avanti e indietro senza consumarsi/perché l’amore più grande sa/quando riprendere fiato») si stagliano preziose e purificatrici. E’ un piacere impagabile scoprire un artista che non ha mai smesso di sventolare fiero la bandiera della coerenza arrivare a una simile oasi di pacificazione. Dare avere mostra il miglior Marco Parente di sempre e sigilla in crescendo il sesto capitolo della sua discografia, una di quelle pronte a spostare sempre l’asticella verso l’alto e con cui il nostro cantautorato dovrà ancora misurarsi a lungo.




23 Marzo 2011 alle 23:46 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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