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Federalismo Fiscale: intervento di Amedeo Ciccanti

di | in: Cronaca e Attualità, Oblò: Spunti, Appunti e Contrappunti

Amedeo Ciccanti

Il mio intervento in Aula in merito alla Proroga dei termini per l’esercizio della delega di cui alla legge 5/5/2009

XVI LEGISLATURA

Resoconto stenografico dell’Assemblea

Seduta n. 473 di martedì 17 maggio 2011

 

Discussione del disegno di legge: Proroga dei termini per l’esercizio della delega di cui alla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale (A.C. 4299-A)

 

 

 AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, collega relatore Ceroni, onorevoli colleghi, con la proroga dei termini per l’esercizio della delega in materia di federalismo fiscale ossia della legge n. 42 del 2009 questo Governo, questa maggioranza denuncia il proprio fallimento riformatore, essendo questa l’unica riforma organica che in questi tre anni è stata proposta al Parlamento. Si arriverà al 2013, alla fine di questa legislatura, con una legge spot fatta sulla carta perché inattuata e inattuabile. Noi dell’Unione di Centro abbiamo detto dal primo giorno che il meccanismo complicato, farraginoso posto dalla legge delega – facevo parte del Comitato dei nove e l’ho sottolineato con forza negli interventi sui vari articoli – non avrebbe funzionato così com’è e non sta funzionando. I ritardi del Governo nell’emanazione dei decreti legislativi di attuazione hanno fatto il resto cioè hanno confermato le nostre preoccupazioni. Il clima di scontro politico dentro e fuori questa maggioranza e tra questa e il sistema delle autonomie hanno reso ancora più complicato il percorso.


Tutto però ha un vizio d’origine, un vizio politico genetico che è proprio della maggioranza cioè la convinzione dell’autosufficienza politica e numerica dal punto di vista parlamentare.

La convinzione che si governi con la forza dei numeri è il vizio di questa maggioranza, ma anche la sua condanna politica, perché si è cacciata in un vicolo cieco dove un processo riformatore di cui questo Paese ha bisogno non trova approdi. In tre anni di Governo non solo non ha fatto una riforma utile alla modernizzazione del Paese, ma si è sempre di più indebolita politicamente per la perdita di credibilità tra gli italiani e l’appuntamento elettorale di ieri ne ha dato una dimostrazione abbastanza esplicita.

Oggi questo Governo e questa maggioranza sono più deboli del 2008. Quello che è grave è che tale debolezza non deriva dall’impatto di riforme impopolari ma utili all’Italia, ma dal non aver fatto nulla, preoccupati solo della gestione del potere, dei sottosegretari, dei Ministri, di cui ancora non vediamo nemmeno la fine.

Il federalismo fiscale è stata l’unica riforma degna di nota, come dicevo, su cui questo Governo ha scommesso, anche perché è la ragione dell’esistenza della Lega Nord in questa coalizione di maggioranza, è la ragione sociale per cui esiste la Lega Nord. Va riconosciuta al Ministro Calderoli la generosità e la determinazione con cui ha portato avanti il suo disegno riformatore. Parimenti va registrata però la debolezza realizzativa di tale disegno riformatore. Fin dalla sua nascita questo disegno riformatore è andato avanti per assestamenti progressivi. È stato costruito, si può dire, giorno per giorno, spot dopo spot. La Lega ha giustificato mese dopo mese, crisi dopo crisi, la sua presenza nel Governo con la chimera del federalismo, ha tenuto sui suoi binari l’elettorato del nord, indicando nella riforma del federalismo fiscale il traguardo finale, la madre di tutte le loro battaglie. A vedere le cose come stanno, si può dire che il prodotto finora ottenuto è tutt’altra cosa rispetto alle promesse fatte. In campagna elettorale era stato promesso un federalismo fiscale secondo il modello lombardo, ossia basato su una concezione proprietaria del tributo, vale a dire di un tributo regionale che poi diventava nazionale in ragione della perequazione. Secondo la proposta di legge della regione Lombardia, fatta propria dalla Lega Nord e dal Popolo della Libertà, erano le regioni del nord a distribuire i tributi e non lo Stato. Le cose sono andate diversamente: è stata abbandonata la promessa elettorale ed è stata presa come riferimento la proposta di legge del Governo Prodi, dove i tributi rimanevano erariali, ossia erano entrate dello Stato, a prescindere dalla loro origine regionale.

La legge n. 42 del 2009 che ne è derivata ha previsto una riforma che per realizzarsi contava almeno 20 decreti legislativi da definirsi in 24 mesi, ossia entro il prossimo 21 maggio. Ad oggi sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale soltanto cinque decreti legislativi: il n. 85 del 2010 sul federalismo demaniale, il n. 156 del 2010 su Roma capitale, il n. 216 del 2010 sui fabbisogni standard di comuni e province, il n. 23 del 2011 sul federalismo municipale e l’ultimo decreto sul federalismo regionale e i fabbisogni sanitari. Praticamente poco o niente, se andiamo a vedere la sostanza di questi decreti legislativi.

Il federalismo demaniale si è rivelato uno spot e di cattivo gusto per i comuni e le province. Infatti, il trasferimento dei beni e delle cose individuati negli accordi di valorizzazione ancora devono essere effettuati, nonostante sia trascorso un anno dall’indicazione.

Ma c’è di peggio: l’articolo 9, comma 2, del decreto, prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri emetta uno o più decreti per ridurre le risorse a qualsiasi titolo spettanti alle regioni e agli enti locali in proporzione alla riduzione delle entrate erariali conseguenti al trasferimento dei beni. A che è servito questo decreto, ai fini del federalismo, se i beni trasferiti alle regioni e agli enti locali poi vengono pagati con la riduzione dei trasferimenti di risorse? Forse a valorizzare il patrimonio pubblico? Sarebbero bastati degli accordi di programma tra le Agenzie delle entrate, del demanio e del territorio e i rispettivi enti locali di ubicazione dei beni e si sarebbe fatto prima e meglio.

Non mi soffermo sul decreto per Roma capitale, perché non solo non dice niente, in quanto rimanda tutto al nuovo statuto, ma non c’entra niente con il federalismo fiscale. Anzi, è l’esatto opposto di quel federalismo a trazione leghista, che era stato concepito contro «Roma ladrona». Basti pensare che la legge n. 42 del 2009 ha come titolo l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, mentre il capitolo di Roma capitale, del tutto estraneo al contesto normativo del federalismo fiscale, è posto all’articolo 114, comma 3, della Costituzione.

Si è trattato, evidentemente, del prezzo che Bossi ha dovuto pagare alla componente di Alleanza nazionale del Popolo della Libertà e al sindaco Alemanno, al quale sono stati anche regalati alcuni miliardi, in questi tre anni, dalle varie manovre finanziarie, a differenza dei tagli operati sugli altri comuni italiani.

Diverse sono le valutazioni sul decreto relativo alla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard dei comuni e delle province. Esso è, forse, il provvedimento cardine del federalismo fiscale, perché cambia il criterio della spesa storica quale parametro di trasferimento delle risorse dallo Stato agli enti locali.

Questo decreto – va sottolineato – è entrato in vigore il 18 dicembre 2010, ossia un anno e mezzo dopo l’entrata in vigore della legge sul federalismo fiscale. È legittimo chiedersi: cosa ha fatto il Governo in 18 mesi, su 24 che ne aveva disposizione, per attuare la legge n. 42 del 2009? Attenzione: non avremo questa nuova parametrazione dei costi e delle funzioni fondamentali dei comuni e delle province prima del 2014. Infatti, nel 2011, saranno determinati i fabbisogni standard per almeno un terzo delle funzioni fondamentali, che entreranno in vigore nel 2012 e, nello stesso anno, saranno determinati gli altri due terzi di fabbisogni standard, che entreranno in vigore nel 2013. Solo nel 2014, saranno determinati i fabbisogni standard di tutte le funzioni fondamentali.

Su questo punto, però, entriamo in un altro girone infernale, quello delle funzioni fondamentali. La critica di fondo che ho fatto a nome dell’Unione di Centro durante l’approvazione della legge di riforma del federalismo fiscale è che mancava l’oggetto, ossia si modificava il meccanismo tributario di finanziamento delle funzioni degli enti locali senza conoscere le funzioni che essi esercitavano. Un assurdo giuridico e politico.

La risposta fu data con l’articolo 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009, indicando le funzioni fondamentali in modo provvisorio, valide, cioè, in via transitoria, per un periodo non superiore a cinque anni. Infatti, le vere funzioni fondamentali dei comuni e delle province aspettano di essere ancora definite, come prevede l’articolo 117, comma 2, lettera p) della Costituzione, modificata nel 2001, da almeno dieci anni. Esse sono state individuate in prima lettura, da un anno ormai, da questo ramo del Parlamento e riposano in pace da tale data presso la Commissione affari costituzionali del Senato.

L’elenco delle funzioni fondamentali dei comuni e delle province previste nel cosiddetto codice delle autonomie è più del doppio di quelle elencate dal ricordato articolo 21. Pertanto, è di tutta evidenza il danno che subiranno gli enti locali dal 2014, quando andranno a regime i fabbisogni standard.

Infatti, avranno copertura integrale solo le funzioni fondamentali provvisorie mentre per tutte le altre funzioni, anche quelle che per il codice delle autonomie sono da considerarsi fondamentali, in quanto non legiferate, saranno coperte solo parzialmente dalle entrate. Le funzioni non fondamentali, infatti, secondo l’articolo 11 della legge n. 42 del 2009, saranno finanziate da entrate proprie e da un fondo perequativo basato sulla capacità fiscale per abitante. In base all’articolo 9 della legge n. 42 del 2009, la capacità fiscale per abitante in ogni regione o comune è in rapporto al gettito medio nazionale per abitante e quindi può essere superiore, e in tal caso non dà diritto al fondo perequativo, oppure può essere inferiore e allora dà diritto al fondo perequativo. Attenzione, però, il fondo perequativo non copre integralmente il fabbisogno standard come per le funzioni fondamentali, ma tende a ridurre il differenziale della capacità fiscale per abitante e quindi finanzia solo parzialmente le funzioni non fondamentali.

Ecco perché la norma transitoria di cui all’articolo 21, che ho richiamato, è vessatoria per i comuni: perché non verranno finanziate funzioni come quelle attinenti le attività e la realizzazione con manutenzione di impianti sportivi e culturali, di beni culturali, del turismo o dello sviluppo economico del territorio; ogni comune, almeno per una parte, queste funzioni se le dovrà finanziare da solo.In tal modo i comuni poveri diventeranno più poveri e quelli ricchi diventeranno più ricchi posto che quelli poveri sono tali perché hanno minori entrate fiscali significative; ma, poiché questo accade per mancanza di cespiti imponibili, tali comuni, quindi, non possono neanche aumentare la pressione fiscale. Il federalismo fiscale targato Lega Nord Padania – farebbero bene gli amici e i colleghi del Partito Democratico e di Italia dei Valori a riflettere sulle indulgenze concesse in alcuni decreti legislativi – realizza questo tipo di federalismo: le funzioni fondamentali formato tascabile per cinque anni sono finanziate integralmente secondo il fabbisogno standard; le altre funzioni saranno finanziate integralmente per i comuni del nord, ossia soprattutto del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e forse anche dell’Emilia Romagna perché hanno una elevata capacità fiscale e quindi non hanno nemmeno bisogno del fondo perequativo, mentre i comuni e le province del resto d’Italia, a minore capacità fiscale, saranno costretti ad un parziale finanziamento con il fondo perequativo. Questo parziale finanziamento è ancora tutto da inventare e da definire. L’Italia a due velocità è bella e servita; anziché fare delle leggi per il sud, questa basta, di per sé, ad agire in senso opposto.

Un altro decreto, quello sul federalismo municipale, invece, ha visto di tutto. Quello che rileva sul piano politico è stata l’approvazione, con voto di fiducia, di una risoluzione del Parlamento che ha imposto a tutte le realtà municipali, di qualunque colore politico, una soluzione legislativa raffazzonata e contraddittoria che non reggerà sicuramente nel tempo. La prima osservazione è che tale decreto è entrato in vigore il 7 aprile scorso, dopo quasi due anni, dall’approvazione della legge n. 42 del 2009. La seconda osservazione è dettata dalla rateizzazione della sua applicazione, si tratta in realtà di un impianto sbagliato ma che si realizza nel tempo. Si tratta cioè di uno spot elettorale, di una legge annuncio. Bisogna aspettare infatti, entro il corrente anno, il decreto che compensa con l’accisa erariale la cancellazione per i comuni dell’addizionale dell’accisa sull’energia elettrica. Bisogna aspettare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che firma la percentuale della compartecipazione dei comuni al gettito dell’IVA. Bisogna aspettare annualmente, entro il 30 novembre, il decreto del Ministro dell’interno che fissa le modalità di alimentazione e di riparto del fondo sperimentale di riequilibrio. Inoltre, bisogna aspettare annualmente il decreto che riduce i trasferimenti ai comuni di pari importo a riparto del fondo sperimentale di riequilibrio e al gettito di compartecipazione IVA, bisogna aspettare il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze che fissa a dopo il 2012 l’incremento della quota di cedolare secca in rapporto all’ulteriore riduzione dei trasferimenti erariali, bisogna aspettare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale possono essere modificate le aliquote e le quote del gettito dei tributi da attribuire ai comuni con riferimento all’imposta di registro e di bollo, alle imposte catastali e ipotecarie e del gettito sulla compartecipazione IVA, del gettito della cedolare secca e del gettito dei tributi da trasferimento immobiliare.

Bisogna ancora aspettare il regolamento per l’attuazione dell’imposta di soggiorno, bisogna aspettare il regolamento per il graduale sblocco, anche se parziale, dell’addizionale comunale IRPEF, bisogna aspettare il regolamento di revisione dell’imposta di scopo, bisogna aspettare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui può essere modificata l’aliquota della imposta municipale propria – oggi allo 0,76 per cento – prevista sugli immobili diversi dall’abitazione principale, bisogna aspettare il regolamento dell’imposta municipale secondaria, e potrei seguitare ancora. Questo è il federalismo municipale che è stato svenduto al popolo del nord come cosa fatta e realizzata.

Come si vede si sbandiera una delle riforme più importanti della legge delega sul federalismo fiscale come un grande successo ma, in realtà, è una scatola vuota. Il federalismo municipale, ammesso che sia un impianto fatto bene, e abbiamo visto che non lo è, è ancora tutto da scrivere. Quello che vogliamo rilevare quando ne sarà stesa la scrittura definitiva è l’inconsistenza dell’impianto logico e legislativo: soprattutto, è in esso presente un errore di impostazione generale. Infatti, secondo il Ministro Calderoli nasce dal presupposto federalista vedo-pago-voto. In realtà chi vota non paga e chi paga non vede e, quindi, non giudica politicamente l’operato del sindaco e del governo municipale.

Le entrate dei comuni sono principalmente dovute dall’IMU e dalla compartecipazione IVA, dalla tassa di soggiorno, dall’ICI e, eventualmente, dalla tassa di scopo. L’ICI sulle seconde e terze case la paga prevalentemente chi non risiede nel comune e, quindi, non vota. L’IMU, sugli immobili per le attività produttive, commerciali e professionali, non richiede la residenza, così come l’imposta di soggiorno e, quindi, chi paga le tasse in quel comune non vota in quel comune.

Allora, che federalismo è questo? Di una cosa siamo certi: è un federalismo che aumenterà la pressione fiscale. Di un’altra cosa siamo certi: che dell’aumento delle tasse e della contraddizione di questo federalismo si vedranno gli esiti soltanto dopo il 2013, quando saranno state fatte le elezioni nazionali e i danni non potranno più essere sanzionati politicamente con il voto degli elettori. L’ultimo decreto legislativo approvato in ordine di tempo è quello sulle regioni e la sanità. Anche qui la rideterminazione dell’addizionale IRPEF dal 2013, la definizione dei criteri per l’attribuzione del gettito della compartecipazione IVA, la maggiorazione dell’addizionale regionale IRPEF oltre lo 0,5 per cento per l’anno 2013, la soppressione di alcuni trasferimenti statali, la definizione delle modalità gestionali ed operative dei tributi regionali, la quantificazione finanziaria delle misure compensative di interventi statali sulla base imponibile e sulle aliquote dei tributi regionali e la definizione delle modalità di convergenza verso i costi standard delle spese per i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere finanziate integralmente attraverso il fondo perequativo, sono tutti adempimenti da compiere con ulteriori provvedimenti governativi e ministeriali o convenzionali, che fanno di questo decreto legislativo un’altra scatola vuota.

Anche questo decreto legislativo è uno spot elettorale per il popolo padano. Mancano ancora da definire, perché sono in corso di esame, l’attuazione dell’articolo 16 della legge n. 42 del 2009 in materia di risorse aggiuntive e di interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali, per il quale manca solo il parere della Commissione bilancio, il decreto legislativo attinente alle disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali e manca anche il decreto legislativo relativo ai meccanismi sanzionatori e premiali relativo a regioni, province e comuni, ai sensi degli articoli 2, 17 e 26 della richiamata legge n. 42. Mancano per il momento questi decreti legislativi che sono già stati adottati dal Governo e altri che bollono in pentola non sono di conoscenza di questo Parlamento. Comunque la seconda relazione semestrale che il prossimo mese verrà fatta per la verifica dello stato di attuazione del federalismo ci darà migliore e maggiore cognizione sullo stato dell’arte.

Appare quindi più che opportuna una proroga dei termini. Noi dell’Unione di Centro la chiediamo da mesi perché una valutazione più serena dei precedenti decreti legislativi, come quello sul federalismo municipale, non gravata dalle scadenze avrebbe portato probabilmente ad esiti migliori. Riteniamo però questa decisione tardiva, un’occasione mancata per rivedere alcune norme di procedura, come per esempio la formalizzazione del parere delle Commissioni bilancio di Camera e Senato da esprimersi sul testo del parere della Commissione bicamerale sul federalismo oppure sui criteri di decorrenza dei termini per l’espressione del parere della Conferenza unificata e sulle modalità di confronto tra questa Conferenza unificata e il Governo. Riteniamo però ancora più sconfortante politicamente la caparbietà con cui ci si ostina a difendere una legge delega che ignora completamente il ruolo della famiglia e un corretto assetto tributario sulla tipologia di tributi da destinare alle funzioni fondamentali dei comuni e delle province.

Fin qui, dall’inizio ho sostenuto che il gettito sulla compartecipazione IRPEF, in quanto basato sul principio di progressività, fosse prevalentemente destinato a finanziare i fabbisogni standard di funzioni solidaristiche, connesse cioè ai livelli essenziali per le prestazioni sociali e sanitarie, mentre tutte le altre entrate derivanti da altre imposte dovevano essere destinate per finanziare i fabbisogni standard relativi a funzioni di carattere generale e attinenti lo sviluppo economico, fatta salva ovviamente la compartecipazione IVA per finanziare il solo fondo perequativo. Abbiamo sostenuto, come Unione di Centro, di inserire criteri e principi direttivi di delega per differenziare la base imponibile dei tributi municipali, compresa l’addizionale e la compartecipazione IRPEF, su un sistema di detrazioni e di deduzioni per i componenti a carico delle famiglie ovvero di differenziare le tariffe sui servizi a domanda individuale in base ai principi del fattore famiglia. Da questo punto di vista abbiamo trovato un Governo e una maggioranza sorda e grigia, che ha guardato dall’altra parte rispetto alle difficoltà delle famiglie italiane in questo particolare momento di crisi.

Voteremo questa proroga dei termini come un atto burocratico, privo di contenuti significativi e di merito, rimanendo sul merito della legge n. 42 del 2009 un giudizio dell’Unione di Centro fortemente negativo. Assicuriamo il Ministro Calderoli che, una volta al Governo, rimetteremo le mani su questa riforma proprio a cominciare dal federalismo municipale che tanti guai causerà al sistema delle autonomie secondo i rilievi e le denunce che ho voluto fare con questo intervento in quest’Aula perché rimanga agli atti.

pubblicata da Amedeo Ciccanti il giorno mercoledì 18 maggio 2011 alle ore 15.46



18 Maggio 2011 alle 17:23 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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