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Risate e riflessione al Lauro Rossi di Macerata con “Il Clan delle Vedove”

di | in: Cultura e Spettacoli, Primo Piano

Il clan delle vedove

Quinto appuntamento per la domenicale Rassegna Perugini


MACERATA – “Che bello piangere un uomo che ti ha tanto amata!” dice Marcelle mentre consola Rose, l’amica in lacrime per l’improvvisa scomparsa del marito. Ma come si affronta la vita oltre la coppia, oltre una quotidianità condivisa per 30, 40 anni? E se i momenti belli conservati nella memoria, di punto in bianco fossero contaminati da menzogne celate, verità inconfutabili e terribili? “Il clan delle vedove”, commedia in due atti di Ginette Beauvois-Guercin è approda ieri al teatro Lauro Rossi di Macerata all’interno della rassegna Perugini, e ha tentato risposte con la saggia leggerezza del sorriso.

La scena riproduce il tipico interno di un salotto d’altri tempi. I colori pastellati si distribuiscono nello scacchiere della carta da parati. In posizione dominante un divano con centrino a fungere da poggiatesta, al suo fianco un tavolino ed una sedia imbottita. Sulla sinistra, la porta d’ingresso e pensili con gingilli vari e, sul lato opposto, la cucina a cui si accede per mezzo di un arco. Circondano l’ambiente qui e lì quadri di paesaggi che ben si intonano all’ordinarietà della casa. Alle spalle del sofà, una finestra con tende velate, alla sinistra e alla destra della quale si intuiscono altri due ambienti.

È qui, in questa casa, che si intrecciano le vicende di tre amiche, tre donne non più giovani, tre vedove. Rose, una eccellente Francesca Campogalliani, la proprietaria di casa, ha appena perso suo marito Jacques in un incidente tanto terribile quanto ridicolo. E non è un caso se al terribile si risponde con una risata cui nessuno può fare a meno. La vasca dello sciacquone è rocambolata sulla testa del pover’uomo, che così ha perso la vita. La verità si mostra subito come qualcosa da nascondere: di questa ridicola fine vengono messe al corrente solo le due amiche accorse, Marcelle (Loredana Sartorello) e Jackie (Gabiella Pezzoli) e il figlio di quest’ultima Pierre (Matteo Bertoni). Per tutti gli altri il vero deve rimanere obliato. È questo un segnale non da poco perchè nel corso della commedia la verità sarà sempre frutto di un percorso ad ostacoli, un panta rei che si arresterà con la sola chiusura del sipario.

Colorata “tecnicolor”, audace, chic, vitale, è Marcelle, la sola ancora alla ricerca di un uomo, forse perchè quello che aveva sposato l’aveva tradita per tutta la vita. Jackie, nel suo vestito bianco panna e i suoi dolori articolari, l’unica ad avere avuto un figlio, la sarcastica del gruppo, la dissacratoria, è colei che sublima l’assenza del marito con il cibo. Chissà, forse anche lei tradita, sebbene della sua attivissima vita sessuale coll’ahimè defunto marito ne facesse orpello delle più intime discussioni. Infine Rose, votata alla casa (non alla cucina) e alla famiglia, amante del caldo sole della Costa Azzurra cui il marito preferiva il clima temprato del mare nordico di Touquet.

Se all’amicizia tutta pepe, tra sesso, gioco, lacrime e ricordi, ci ha abituati in tempi più o meno recenti la serie tv Sex and the City, quella de “Il clan delle vedove”, non è molto diversa, eccetto per l’età chiaramente. Ma le tre donne, tanto diverse quanto complementari, sono un parallelo meno giovane, con tutto quello che ne segue, e più “homemade” delle quattro amiche newyorkesi.

Anche qui infatti gli uomini sono terra di tutti e di nessuno; se per Marcelle il marito era semplicemente l’uomo che la tradiva e di questo ne portava consapevolezza, per Rose la verità sull’uomo che le aveva messo la fede al dito è qualcosa di molto più complesso. Tradita a sua insaputa, Jacques aveva una relazione parallela con Sophie Cluzot (Antonella Farina) da cui aveva avuto addirittura le gemelle ed eredi Jeanne e Jeanine, quei figli che Rose non aveva saputo dargli.

Gli uomini si dimostrano tutti uguali; traditori ed egoisti, spesso assenti e volubili. Le donne, tradite, da remissive a proattive, ontologicamente forti dopo un lungo percorso (“Ci ho messo vent’anni per avere un Io forte!”) e in ogni caso sempre oscurate dalla menzogna. Nonostante la voglia di non aver più nessun legame, di essere libere, di vivere una seconda giovinezza, le tre vedove ricercano sempre un appoggio e se non è un uomo a renderglielo, il sostegno viene dall’amicizia femminile.

Il parametro forse più sconcertante, tra gag varie e un susseguirsi di allegri quanto assurdi accadimenti, è che non v’è rimedio altro alla solitudine sentimentale se non continuare a vivere assumendola come dato immutabile. Di fatti i tentativi di Marcelle di trovare un uomo si rivelano vani quando la verità si scopre in tutto il suo assurdo: l’uomo che aveva conosciuto, nonché suo coiffeur, dopo un viaggio a Casablanca torna in un corpo di donna e pone fine così ai suoi sogni d’amore. Quando la verità sembra essere tutta lì ecco che si accede ad un altro gradino e se ne rivela un’altra. E allora Rose, ormai rassegnata alla relazione del marito con Sophie Cluzot, ormai consueta ospite in casa sua, nonostante frecciatine e tafferugli, scopre che i tradimenti non si fermavano lì e ciò di cui lei era a conoscenza, è un mistero per l’amante e così via. Come a dire che il tutto tondo scultoreo del vero non può essere mai visibile nella sua totalità.

E allo stesso modo, Pierre, il figlio di Jackie, unico personaggio maschile della commedia, che paradossalmente si innamora, mette in cinta e sposa una delle gemelle, non si dimostrerà tanto diverso dai defunti mariti. Anche lui traditore e bugiardo.

Il ciclo non si cambia, a ritmo di samba e risate, ma ciò che era sarà, è quel che rimane: l’amicizia di tre donne sole ma con una buona dose di coraggio e un ultimo motto: “Troppa fantasia e poca realtà possono far male!”.

Ottime le attrici dell’Accademia Campogalliani di Mantova abilmente dirette da Maria Grazia Bettini. Teatro pieno, pubblico rumorosamente soddisfatto.




14 Novembre 2011 alle 16:02 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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