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Macerata Teatro: “Sabato, domenica e lunedì”: quando a salvare l’amore è il dialogo

di | in: Primo Piano

Macerata Teatro – Sabato, domenica e lunedì

Quinto appuntamento della Rassegna Perugini, teatro pieno e applausi per il testo di De Filippo


MACERATA, 2012-11-05 – Il sei novembre del 1959, al teatro Quirino a Roma, Eduardo De Filippo porta in scena per la prima volta “Sabato, domenica e lunedì”. Sono passati ben sedici anni da “Natale in casa Cupiello” e l’Italia all’alba degli anni sessanta è sicuramente diversa da quella del secondo conflitto mondiale. Eppure il cruccio del grande Maestro resta lo stesso. L’analisi del nucleo primo della società italiana, la famiglia, quella che, forse nessun altro a lui contemporaneo, ha saputo raccontare con tanta dovizia di particolari e tanta efferata dolcezza. Ieri, a riportare sul palcoscenico del teatro Lauro Rossi “Sabato, domenica e lunedì”, a 53 anni di distanza, è stata l’associazione culturale Teatro Club di Torre del Greco, invitata a raccontare le vicissitudini della famiglia Priore in occasione della quinta domenica del Festival Macerata Teatro, rassegna Perugini.

Il regista della compagnia, Gino Roma, sceglie di lasciare pressoché inalterato il testo originale, propendendo solo per qualche leggero taglio e modifica che però interviene poco o niente sullo svolgimento del recitato. Tre atti in piena regola con tanto di massiccio cambio di scenografia tra il primo e il secondo, per uno spettacolo che tiene incollato alla poltrona, nonostante la lunghezza, il numerosissimo pubblico accorso. Quando si apre il sipario, ci ritroviamo nell’intimità della cucina di una famiglia benestante: i vecchi tegami in rame si affiancano alle pentole lucenti in alluminio, a preparare il pranzo non solo la matrona della casa ma anche la serva. La cucina economica maiolicata, stretta tra due porte di ingresso ad altrettanti vani, due credenze che costeggiano le mura e al centro della scena il tavolo, utile ripiano da cucina, luogo di scambi e di battibecchi. Due i luoghi deputati al contatto con il mondo esterno alla casa; i balconcini e il corridoio tra le file di destra e di sinistra della platea, dove abbattuta la quarta parete, l’attore attraversa il pubblico.

Lo spettatore scopre il nocciolo della questione che porta i coniugi Priore a litigare furentemente nel corso dello spettacolo; pian piano il punctum si fa più limpido e si intende come sia un’incomprensione alquanto banale quella dalla quale scaturisce l’intera vicenda. Peppino, pater familias e proprietario di un negozio di abbigliamento oramai demodè ereditato dal suocero, Don Antonio, da circa quattro mesi vive con la moglie, donna Rosa, uno stato di tensione. Crede infatti che l’ambigua gentilezza del vicino di casa, Luigi Ianniello, sottenda un celato rapporto d’amore. Al contrario, donna Rosa prova astio per il marito, un uomo che non la stima più e non le riserva attenzioni, e che addirittura quattro mesi addietro ha osato osannare la cucina della nuora. Tutto si rivelerà un fake, frutto esclusivamente della gelosia reciproca di due persone che pur amandosi non si concedono lo spazio del dialogo. Con l’abilità del perfetto narratore, De Filippo ci racconta il prima, il durante e il dopo, accompagnando il conflitto dal suo nascere, al suo esplodere e sino all’estinzione. Il filo conduttore è la cucina, la preparazione del ragù domenicale, rito lungo ed amorevole che si trascina dal sabato e ancor prima da tradizioni familiari millenarie. Il secondo atto ci raccoglie tutti in sala da pranzo per il pranzo domenicale, che, come da tradizione, raccoglie al desco familiari e amici in un clima di festa, anche quando è proprio la spensieratezza a mancare. Ben rende tale aspetto Renato Roma, straordinario interprete di Peppino Priore. Seduto in silenzio accanto agli altri commensali incuranti del disagio del padrone di casa, don Peppino assiste alla serie infinita di scenette: il silenzio tra la figlia e il fidanzato, quello tra lui e sua moglie, e il cicaleccio di Luigi Ianniello, sempre più stucchevole nei confronti di donna Rosa. Per un momento, essendo ancora all’oscuro dell’effettivo stato delle cose, siamo trascinati nel “mondo secondo Peppino Priore”, e il suo disagio viene trasmesso persino a chi sta tranquillo in poltrona. Il terzo atto è quello del chiarimento, dopo l’esplosione della terribile discussione sfociata nel malessere di donna Rosa. Finalmente ritrovata l’intimità del confronto a due, i coniugi Priore ritrovano se stessi, riprendendo il filo della loro relazione esattamente da dove lo si era smarrito. Interessanti gli innesti della regia, dall’introduzione della musica tradizionale suonata dal vivo, alla visualizzazione del ricordo del fidanzamento tra Peppino e Rosa, raccontato dagli stessi personaggi in forma di dialogo diretto e impersonato molto poeticamente da ombre di attori al di là di un telo a fondo scena. Inutile rammendare la profondità di un testo che già nel ’59 poneva l’accento sulla condizione femminile e sui temi di quello che sarebbe stato poi il movimento femminista, qui incarnato dal personaggio di zia Memè, una formidabile Carla Abilitato; sulla possibilità di divorzio quando non è più l’amore ad unire due persone ma solo il vincolo del matrimonio; i giovani e i vecchi, e i conflitti generazionali con i quali sempre il Maestro spolverava le sue commedie. Una parola di elogio ancora va a Renato Roma, alias Peppino Priore. Roma rivisita la figura di don Peppino rimanendo fedele al testo eppur connotandolo personalmente e in tal modo rifuggendo all’errore più comune che si fa quando si vestono i panni di un personaggio interpretato da un grande attore come lo era Eduardo. Il don Peppino di Roma non imita quello di Eduardo De Filippo, e nemmeno cerca di farlo. Rende così a tutto tondo un personaggio proprio, che mai, in nessun momento rimanda al grande Maestro e così facendo gli conferisce grande credibilità.

Applausi a scena aperta ed accennata standing ovation.




5 Novembre 2012 alle 20:16 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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