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“Se fossi fuoco, arderei Firenze”: intervista esclusiva a Vanni Santoni

di | in: Interviste

Vanni Santoni, è nato a Montevarchi nel 1978.

La commedia umana fiorentina raccontata dall’autore nella prima intervista concessa dopo l’uscita del libro.

L’avevamo lasciato alle prese con le storie ad alto contenuto psicotropo de Gli interessi in comune, ora Vanni Santoni torna in libreria con un altro libro ricco di personaggi, Se io fossi fuoco, arderei Firenze, pubblicato da Laterza nella fortunata collana Contromano. Santoni percorre una città disgregata in tante parabole incerte, perdenti, segue con precisione entomologica le giornate che si susseguono neutre accavallandosi nel vuoto e fotografa lividamente un centro storico che, dentro le centocinquanta pagine del libro, pulsa, vive, si annienta e rinasce con le sue contraddizioni, le sue aspirazioni abortite e la sua innegabile bellezza.

A tre anni di distanza da
Gli interessi in comune torni in libreria con Se fossi fuoco, arderei Firenze. Hai impiegato tutto questo tempo per la lavorazione di Se fossi fuoco… o contemporaneamente ti sei dedicato ad altro materiale?

In questi tre anni ho scritto un altro romanzo, più o meno della stessa lunghezza de Gli interessi in comune, del quale sto operando l’ennesima riscrittura, e sono stato molto impegnato con i lavori di In territorio nemico, il primo romanzo a 200 mani della storia, realizzato tramite il metodo SIC, del quale sono uno degli ideatori. C’è stata poi la revisione de L’ascensione di Roberto Baggio, un romanzo a quattro mani esso pure di prossima uscita, che essendo stato scritto per l’appunto tre-quattro anni fa necessitava di un forte aggiornamento stilistico. Se fossi fuoco, arderei Firenze è stato scritto tra l’ottobre 2010 e il giugno 2011, in nove mesi di lavoro molto intenso e quasi esclusivo.

Che tipo di libro è Se fossi fuoco, arderei Firenze?

È un romanzo. Non è un romanzo classico, poiché ci sono ventitré protagonisti che si dividono in modo più o meno equo la scena, e perché lo sguardo del narratore è ben puntato, oltre che sulle persone, sullo spazio urbano dove si muovono, ma credo rientri comunque nella categoria.

Firenze: come ne esce la città dal tuo libro?

Questo devono stabilirlo i lettori. La città di Firenze è a tutti gli effetti il ventiquattresimo protagonista, e uno degli obiettivi del libro è proprio ritrarla attraverso la “commedia umana” che vi si svolge. Senza entrare dunque in valutazioni sociologiche, sociali, culturali o urbanistiche, posso dire che ne esce bella, ma questo non è merito mio. Firenze ne esce sempre bella… si difende con quello.

Scrivi “avevo davvero una vita sociale quando sono arrivato in questa città o tutte quelle persone erano una specie di comitato di benvenuto?”: secondo te Firenze è una città che porta a ritirarsi o una città in cui sono quelli che ti sono intorno che con tutta probabilità si ritrarranno presto?
Dal momento che le due cose sono collegate – gli altri si ritirano ai tuoi occhi così come tu, magari senza accorgertene, ti ritiri ai loro – direi piuttosto che Firenze è una città in cui viene facile ritirarsi. E se l’architettura e l’urbanistica significano qualcosa, il fatto che quasi tutti i giardini del centro di Firenze – e sono centinaia – siano privati, e nascosti all’interno dei vari palazzi o isolati, mi sembra un indicatore molto chiaro.
Scrivi anche “ormai in città hanno vietato o sgomberato o messo sotto presidio tutto, e per fare il pieno basta semplicemente organizzare qualcosa”.
Mera constatazione: ai miei tempi, e per “i miei tempi” intendo soltanto il 2003, 2004, anni in cui cominciai ad abitare stabilmente in città, il Piazzale degli Uffizi era luogo di libera festa e dibattito, c’erano molti più spazi occupati e autogestiti di adesso, alle Cascine si svolgevano concerti e festoni del tutto gratuiti… Oggi, per quanto esistano isole di resistenza e momenti di vita comune nello spazio pubblico, tutto questo non c’è più. Ma forse è solo quella sindrome tipica dei fiorentini, secondo i quali Firenze “era (sempre) meglio prima”…

"Se fossi fuoco, arderei Firenze" (Laterza, 2011)

Qual è stata la genesi del titolo?

Se fossi fuoco, arderei Firenze era il titolo di lavorazione. È una frase che Annabel, una delle protagoniste, pronuncia verso la fine del romanzo. Sebbene tale titolo avesse in sé varie suggestioni che mi piacevano – innanzitutto la questione dell’amore-odio – cercavo qualcosa di più sintetico. Poi, però, tanto la direttrice letteraria quanto molti amici che avevo sentito in merito si sono detti entusiasti e mi sono convinto a tenerlo.

Dopo Personaggi precari e Gli interessi in comune ancora un libro pieno di personaggi: la coralità è una delle caratteristiche chiave del tuo DNA di scrittore?

Mi sa che a questo punto sarebbe impossibile negarlo…
C’è qualche testo di riferimento per Se fossi fuoco…?

In questi anni ho letto molto. Ho sempre letto molto, ma da quando è uscito Gli interessi in comune e ho iniziato a prendere sul serio il mestiere di scrittore ho cominciato a leggere in modo diverso, più analitico, più ponderato, secondo percorsi precisi. Sicuramente tutte queste letture hanno lasciato un segno e sarebbe dunque impossibile indicarne solo alcune.

Con questo romanzo ti sei accasato presso l’editore Laterza. Quali sono le tue percezioni a riguardo?

Una grandissima cultura e professionalità. Una certosina attenzione al dettaglio. Il piacere di poter discutere la copertina col grafico fin nei minimi dettagli. Sono molto contento del lavoro che hanno svolto sul mio libro.

Immagino sarai impegnato in un tour promozionale.

Sì. Molte date ancora non sono definitive ma ci sono svariate presentazioni in programma, tanto in Toscana quanto in giro per l’Italia. Tra quelle già confermate posso dirti che sicuramente presenteremo il romanzo il 21 ottobre a Firenze, il 23 ottobre a Montevarchi e il 27 ottobre a Roma.




1 Dicembre 2011 alle 2:10 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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