Benvenuto e Buona Navigazione, sono le ore 00:27 di Mar 30 Apr 2024

Tradire, la parola più comune nella cultura pop. Parola di Giorello

di | in: Primo Piano

Popsophia

Ne “Le parole del contemporaneo”, Popsophia indaga l’infedeltà



Civitanova, 2012-07-16 – Tradimento. Questa la parola scelta da Giulio Giorello per aprire, al Chiostro Sant’Agostino di Civitanova Alta, la nuova rassegna della domenica pomeriggio di Popsophia significativamente intitolata “Le parole del contemporaneo”. Un “gioco” crudele forse, quello lanciato da questo appuntamento. Con una parola, descrivere i tratti fondamentali del contemporaneo, di quell’intorno quotidiano che popola le nostre giornate tra tv, giornali, e scene di vita comune.

“Tradimento è la parola più comune alla cultura pop, -sostiene Giorello, autore dell’omonimo libro – basti pensare all’opera pop che è il Parlamento italiano, una sceneggiata con momenti di rara comicità”. Esordisce così il filosofo milanese.

Quando pensiamo ad un esempio di traditore viene subito alla mente la figura di Giuda, colui che per trenta denari consegna Gesù alle autorità. Da quell’avvenimento si sviluppa l’intero dramma cosmico della passione, morte e resurrezione del Cristo, un evento dunque paradossalmente focale per la salvezza cristiana dell’uomo. Significativamente rientrato nel lessico quotidiano, Giorello traccia una storia del tradimento e delle figure maggiormente significative, iniziando da Giuda e i Cesaricidi e terminando con Sir Roger Casement, sfruttatore del Congo e patriota irlandese, collezionista nell’arco della sua vita di ben cinque tradimenti, l’ultimo dei quali proprio in punto di morte, diventando apostata.

Umberto Curi, in dialogo con Giorello, pone una questione fondamentale del concetto di tradimento. Se la parola “tradire” deriva dal latino “tradere”, che significa dare, consegnare, come è possibile che oggi abbia assunto una valenza negativa? Perché “colui che consegna” ha necessariamente carattere riprovevole? Sicuramente la prima risposta è intuitiva. Come sostenuto da Giorello infatti, Giuda nell’atto di consegna di Gesù, rende possibile il deicidio e dunque questo ne definisce lo statuto di riprovevole.

Ma non finisce qui. Il professor Curi fa notare come la radice stessa del termine sia comune alla parola “tradizione”. Allora qual è il nesso? Nell’interruzione di una tradizione e cioè nell’arresto del processo di consegna di fatti, esperienze, consuetudini storiche da una generazione passata ad una futura, c’è il significato del processo del tradimento. Visto così, lo stesso Gesù è il primo traditore: colui che interrompendo la morale dell’occhio per occhio introduce il “porgi l’altra guancia”. Giuda quindi si pone come colui che vorrebbe impedire “la tradizione di Gesù come scandalo”, come rivoluzionario della morale dell’epoca. Inoltre suggerisce Curi, se l’innovazione dal punto di vista scientifico e morale sta nella ribellione alla tradizione, lo stesso accade sul piano macrostorico: Cos’è la rivoluzione francese se non un atto estremo di tradimento?

E in amore allora? Tradire è sfuggire alla responsabilità di un patto. Ma di quale patto stiamo parlando? “Responsabile, -spiega Curi, – vuol dire rispondere”. Ma nel momento in cui rispondiamo alla voce che ci chiede di essere fedeli alla persona a noi legata dal vincolo del matrimonio, stiamo scegliendo di non ascoltare un’altra voce come quella ad esempio che ci porta a riconoscere la fine del nostro amore e l’inizio di un nuovo innamoramento. Rimanere fedeli al matrimonio potrebbe quindi paradossalmente significare tradire i propri sentimenti. E allora, si capisce bene, che tradire non è un absoluto ma assume significato solo e soltanto se applicato ad un contesto di riferimento. E se il contesto di riferimento è quello che recita “il nostro amore si chiama fedeltà”, come cantato dalle SS italiane, allora, conclude Giorello, forse tradire non è poi così male.




16 Luglio 2012 alle 21:34 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

Ricerca personalizzata