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Gli Opus 5 hanno travolto il Lauro Rossi

di | in: Primo Piano

Opus 5, un momento della serata

TLR JAZZ, GLI OPUS 5 PRESENTANO PENTASONIC, CONCENTRATO DI ENERGIA E ABILITA’

Le all stars volute da Musicamdo portano al Lauro Rossi il loro ultimo lavoro

MACERATA, 2013-03-26 – Come le sei sonate per violino di Vivaldi, stesso nome, ma composizioni davvero diverse. Gli Opus 5, nella serata di sabato, hanno travolto il Lauro Rossi e come un vento invadente, di quelli che attraversano ogni pertugio, spostano la polvere e costringono a mettere in salvo oggetti in bilico, spaziano tra la platea e i palchi del teatro maceratese.

Energia pura, divertissement e, perché no, una buona dose di virtuosismo. D’altronde il quintetto è composto da cinque star di altissimo livello, tutti provenienti dalla Mingus Family. Non v’è traccia alcuna dei prodromi della guerra fredda e sul palco, privi di cortina, i russi Boris Kozlov al contrabbasso e Alex Sipiagin alla tromba e flicorno, affiancano gli americani Seamus Blake al sax alto, David Kikoski al piano e Donald Edwards alla batteria.

Inutile, a mio avviso, cercare e trovare similitudini stilistiche. Di fatto ce ne sono molte, moltissime, dal Miles Davis anni ’60 alla pirotecnia della batteria di Art Blakey. Ma il loro “Pentasonic”, ultimo lavoro discografico prodotto dalla Criss Cross e presentato al pubblico maceratese, è più di un puzzle di citazioni e rimandi ad antenati blasonati. È un viaggio su una testa rossa fiammante lanciata ad incredibile velocità e con pochi, pochissimi pit-stop. Ad eccezione infatti del respiro profondo che prendiamo con l’omaggio a Jobim, una immersione nell’atmosfera calda di una sera d’estate, in cui si rende possibile un certo spazio per la lentezza del pensiero, il resto del concerto s-corre su ritmi piuttosto tesi nei quali ognuna delle all stars definisce, in maniera più o meno scandita, la propria personalità. No, non è certo un concerto sobrio e questo segna sicuramente una linea maginot con l’ascolto del disco.

Se infatti si recepisce come il lavoro in studio restituisca un certo equilibrio tra prime donne, condannando di volta in volta qualcuno al ruolo di fatica per far sì che emerga in singolo la personalità di ciascuno, on stage gli Opus 5 si radicalizzano sul disinibire il pubblico, sconvolgerlo, impressionarlo.

Ci riescono, è indubbio. Il drumming di Mister Edwards accompagna le intere due ore di concerto. Indicativo è che non cambi mai bacchette, mai rastrelli o battenti di feltro. Il suono nelle fasi più rilassate sceglie la strada dell’ottonato, prediligendo il tocco raffinato di charleston e piatti, alla spazzolatura della membrana. Il rischio è che a volte sia sovrabbondante e si finisca per perdere la complessità della sua esecuzione.

David Kikoski è un pianista di incredibile spessore. La bellezza delle sue interpretazioni si percepisce sia con l’orecchio che con l’occhio. Vederlo è una soddisfazione per l’anima. Si diverte, mostra a tutti le proprie elucubrazioni musicali, possiede lo strumento quasi in senso carnale, e può gestirne ogni singola sfumatura e indovinarne infinite altre provocando i sorrisi compiaciuti dei suoi compagni di band.

Discorso a parte va fatto per sax e tromba. Seamus Blake e Alex Sipiagin non scelgono il dialogo ma un fraseggio staccato, cui di volta in volta, possono seguire spazi a due voci. Alex Sipiagin passa dalla tromba al flicorno eppure quella morbidezza e rotondità del suono che dovrebbe dare il cambio è spesso poco gustabile. Seamus Blake è sicuramente una voce ben strutturata che raccoglie tutta la lezione di Coleman Hawkins per poi, come è ovvio dimenticarla. Il suo sax quasi mai è accompagnamento, sceglie spesso strade di primo piano, letture autonome o ritornelli a due tra i fiati.

Se in questo pout pourì di personalità, non ci fosse Boris Kozlov probabilmente ce ne accorgeremmo. Eppure se non si fa attenzione, pare proprio che il contrabbassista moscovita non ci sia. Il punto è che se il contrabbasso funge allo stesso tempo da base ritmica e da linea melodica, il suo tratto fa sì che ogni pezzo abbia una colonna portante dell’ordine tematico da stravolgere. La personalità della batteria è talmente preponderante in molti tratti, da superare il ruolo di base ritmica e delinearsi invece come strumento di punta, melodicamente narratologico. Allora è il lavoro silenzioso, data la sovrabbondanza della mole sonora, di Kozlov a fare da legante indispensabile ad ogni esecuzione.

Dal vivo Pentasonic suona così, senza riposo, con una grande voglia di dire, raccontare, mostrare, trasmettere adrenalina. Un quintetto muscolare, dimostrativo che non disdegna l’arabesco.

Forse l’assenza quasi totale di un momento melanconico, di una compagine stilistica parallela a quella solare, insomma, un po’ di sana ombra, rende il tutto meno godibile e percettibile, sebbene di certo impatto. Gli applausi come è ovvio, infatti, non mancano, e il pubblico del Lauro Rossi risponde bene a quella che è stato il penultimo appuntamento del TLR Jazz di Musicamdo.

 




26 Marzo 2013 alle 17:07 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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