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Dino Fumaretto “La vita è breve e spesso rimane sotto”

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Nella desolante stitichezza che caratterizza il panorama dei giovani cantautori italiani, dove un Dente e un Brunori Sas arrivano ad essere salutati come nuovi Dalla e De Gregori, uno come Dino Fumaretto rischia di fare la figura del fuoriclasse. Eccentrico, talentuoso e un po’ spostato, Fumaretto mette in musica mini-racconti kafkiani che non corrono il rischio di lasciare indifferenti. Ascoltando questo disco è facile immaginare un uomo curvo sul pianoforte, un po’ Brad Mehldau un po’ Edward Mani di Forbice, personalità border-line e gusto del divertissement, un uomo curvo dedito a cantare rincorse psicologiche agli abissi di un’anima mai standard e invece ostinatamente fuori dagli schemi fino a sfociare nel grottesco, il tutto contro se stesso, per dirla alla Morgan, uno che, nei lavori solisti, ha più volte viaggiato su binari paralleli a quelli di Fumaretto



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