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Il mago

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Voglio raccontare un fatto. Alla luce degli accadimenti odierni, voglio proprio raccontarlo.

Molto, molto tempo fa (troppo, purtroppo), lasciai la multinazionale americana per cui lavoravo da tanto quando un  imprenditore italiano del  medesimo settore mi fece un’offerta irrinunciabile: così divenni il marketer della sua nuova realtà industriale e l’obiettivo specifico che mi chiedeva di raggiungere nel breve lasso di tre anni era un alto livello di conoscenza del nuovo brand su base nazionale oltre alla creazione di un forte senso di appartenenza e spirito di corpo nei retailers che coprivano capillarmente l’Italia.

Ci misi l’anima in quel lavoro. Andò benissimo per gli obiettivi di conoscenza del brand ma, dopo due anni, restavano da affinare quelli della creazione di spirito di corpo e senso d’appartenenza dei retailers.


Quando mi venne l’idea, mi spaventai per la difficoltà di realizzazione che intravvedevo ma volli comunque concretizzarla.

Proprio nel marzo di vent’anni fa (mioddio, sono passati!) organizzai una convention societaria nazionale in quel di Rimini: non una piccola cosa, una grande convention.

Quasi tutti gli alberghi attivi di Rimini e Riccione ne furono investiti, Grand Hotel felliniano compreso.

Il padiglione centrale della Fiera (quello che usava Craxi per gli incontri oceanici) fu predisposto.

Oltre tremila persone,  il cinquantapercento dei retailers dell’azienda con il proprio accompagnatore, arrivarono da ogni parte d’Italia appositamente invitati e opportunamente trasportati.

Fu una kermesse, una grande kermesse di tre giorni e due notti, con un sistema  di suddivisione  ed impostazione degli invitati copiato dall’esercito, inquadrati in plotoni e batterie con a capo leaders riconosciuti:  quelli che sembravano numericamente gli abitanti di un intero piccolo paese divennero l’oggetto di un’organizzazione rivelatasi perfetta in termini di ordine e puntualità.

Ma la chicca, la ciliegina sulla torta, fu la gestione di tutta quella gente unita a pranzo, di tutta quella gente affamata, ciarliera, poco paziente. Si pensi solo a due  fra i molti problemi da risolvere: il rimbombo sonoro del parlare contemporaneo di tremila persone poteva risultare tremendo, alla lunga anche insopportabile; tenere fermi a tavola i commensali poteva rappresentare  un’utopia.

Come fare? Impensabile sperare di far tacere  tutti con il suono di un’orchestra (anzi!)…

Come fare? Impensabile sperare in un sistema collaudato per frenare tutti seduti al loro posto…

Come fare? Impensabile sperare di regolamentare la pulsione virale del bisogno corporeo incontenibile…

Del tutto casualmente, circa un mese prima dell’evento, venni a conoscenza che a Rimini esisteva una scuola per ‘maghi’, ‘illusionisti’: corsi  a vedere e capii l’importanza dell’azione del mago per le mie necessità.

Ne reclutai cinquanta di maghi e li lanciai nell’enorme padiglione-pranzo della convention,  fra i duecentocinquanta tavoli da dodici commensali ognuno: a far magie, a illudere,  a prestigiditare* mentre gli stessi commensali attendevano che le pietanze fossero servite o anche mentre le assumevano.

Incredibile, credete: i silenzi d’attesa per ogni gioco  d’illusionismo erano silenzi veri, le voci ed i suoni a fine di ogni numero erano contenuti in ‘ooohhh’ di meraviglia ed in applausi composti, il rumore complessivo nella smisurata sala ne usciva differenziato, frammentato, sopportabilissimo.

Ma la cosa eccezionale era l’interesse altissimo proprio di tutti gli astanti per i numeri di classe che i maghi proponevano, per le illusioni che fornivano le loro dita in movimento, per la maestria con cui venivano condotti i giochi di prestigio, per la tensione mirata al capire o scoprire quale fosse e dove risiedesse l’illusione. Alla fine, a detta proprio di tutti, i prestigiatori  avevano veramente allietato i pranzi e reso nulla l’attesa del servizio.

Ineguagliabili loro, i maghi, ineguagliabili i loro giochi. Ineguagliabili. Anch’io pensai così.


 

E ho continuato a pensarlo fino ai giorni che stiamo vivendo adesso.

Quando, ripetitivamente, ossessivamente , mi continua ad apparire in sogno un MAGO di non so che circo stanziale di Roma.

Un MAGO di statura enormemente superiore  a quelli di Rimini (statura non riferita al fisico ma alla capacità del singolo : quelli di Rimini oggi, al suo cospetto,  li chiamerei ‘maghetti’).

Un MAGO che, fatti danzare preventivamente i valletti del suo entourage circense, portato il  pubblico a cui si rivolge ad un silenzio assoluto d’attesa, effettua esercizi di maestria inarrivabile, unica.

Ne descrivo uno, a titolo di esempio per tutti: posati a terra i tappeti che porta sempre  a spalla, ne tiene sollevato uno per due lembi a nascondere quello che tutti percepiscono come il nulla.

Poi, recitata una formula strana (un sussurro lunghissimo, è parso di sentire “alliberianmillsprevitiguidoguaiachimelotoccanoemimondadorilodoalfanoschifanimammìbettino
dellutrimarcellinopaneevino
….) e, fatto cadere a terra il tappeto prima tenuto sollevato, scopre  quello che la formula fa comparire miracolosamente dietro il tappeto stesso.

Una scritta luminosissima, definita nell’aere e nella stessa sospesa:

“DEMOCRAZIA, IO TI HO SALVATO ANCORA”.

Oltre la magia. Un miracolo di magia. Magia del miracolo.

Ed immediatamente riesce a vendere il tappeto! E’ un MAGO-VENDITORE.


Ah, se questo MAGO un giorno si materializzasse ed entrasse in politica, io lo voterei subito, sa Dio quanto ne avrebbe bisogno la nostra Italia: sarebbe un politico assolutamente affidabile come lo è adesso da illusionista e venditore di tappeti.


Franco De Anna


*verbo di nuovo conio da inviare all’Accademia della Crusca.




15 Marzo 2010 alle 1:08 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |
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