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Dente @ CosePop, Centobuchi (AP) – 16.08.2010

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Mi manda fuori di cervello provare a capacitarmi di come persone maggiorenni possano trovare interessanti le canzoni di Dente. Non trovo pace se cerco di capire dove le stesse persone trovino la voglia di smuovere il culo per recarsi a sentire le versioni live delle stesse canzoni, considerate due questioni tutt’altro che trascurabili: la prima, le suddette versioni live fanno rimpiangere le versioni studio; la seconda, ogni esecuzione è separata dalla successiva da un siparietto che vorrebbe far ridere e invece proprio no.
Il buon Morgan, quando ancora qualcuno lo chiamava a far serate in giro, amava ripetere che il piacere di stare sul palco risiedeva per lui non nel suonare le canzoni ma nell’improvvisare siparietti tra una canzone e l’altra. Morgan, però, era maestro nel siparietto. Dente è un ammiccatore populista, strizza l’occhio e se la ride sopra il suo teatrino che traballa, schernendosi lancia la canzone successiva che dice le stesse due cose della canzone precedente ma ha un titolo niente male. Il concerto di Centobuchi, con una platea peraltro assai numerosa, merito del seguito di Dente sì, ma anche dell’ottimo lavoro in fase di organizzazione e promozione (il concerto è il terzo appuntamento di “CosePop”, rassegna a cura di Spazio Disponibile – Consulta Giovani di Monteprandone), è una sequenza di brani scanzonati, quando non francamente scazzati. Gli accordi facili facili, la pochezza dei testi, l’ironia incapace di corrodere, le rime cuore/amore: dopo venti minuti ho già il latte alle ginocchia. Battisti, a cui qualche blasfemo aveva a suo tempo paragonato Dente, è lontano anni luce. L’immagine che indovineresti a occhi chiusi – giacchetta striminzita, capello spettinato, barba indie-incolta – look trasandato ma trasandato giusto non mi viene in aiuto. L’idea di felicità da queste parti pare si nasconda in cose tipo il «dormire in macchina», i «piedi nudi in mezzo ai campi», il mangiare «tutte le scatolette», e proprio durante il ritornello di Vieni a vivere sento il bisogno di un paio di cuffiette con dentro le litanie di Lindo Ferretti.
A molti dei cantautori dell’ultima ondata – non ne nomino altri perché stiamo parlando di Dente e Dente è paradigma del diffuso malcostume – sarebbero utili alcune lezioni di rigore. Non sono così caustico da suggerire un ritorno a scuola, ma un’applicazione coatta nell’ascolto ripetuto di eminenze rigorose del passato remoto (Scott Walker, Lou Reed e, soprattutto, Leonard Cohen) e prossimo (Palace, Smog, Red House Painters, American Music Club) servirebbe eccome. Una canzonetta può salvarti la vita e durare una vita, ma se priva di rigore formale ha la stessa scadenza di un chewing-gum alla fragola. E non può che mandarmi fuori di cervello pensare a come una persona maggiorenne possa amare ancora le Big Babol.




17 Agosto 2010 alle 12:50 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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