Benvenuto e Buona Navigazione, sono le ore 05:55 di Lun 29 Apr 2024

Georges Perec “Le cose”

di | in: Recensioni

“Le cose” (Einaudi, 2011 – pag. 126; € 17,50)


«Il desiderio di sapere non li divorava; molto più umilmente, e senza nascondersi di avere quasi certamente torto, e che, prima o poi, lo avrebbero rimpianto, sentivano il bisogno di una camera un po’ più spaziosa, di acqua corrente, di un doccia, di pasti più variati, o semplicemente più abbondanti di quelli dei ristoranti universitari; forse di una macchina, di dischi, di vacanze, di vestiti.»


Jerome e Sylvie vivono Parigi con la frustrazione della loro impossibilità, romantici ma rancorosi, costretti ad un appartamento di trentacinque metri quadrati. Persi i propri sogni nel regno del futile e del superfluo, vivono giornate scandite dallo scoramento per un’assenza forzata, per un’esclusione coatta, e si producono in fantasie e imitazioni di mondi intravisti nelle parole dei fortunati o nelle pagine delle riviste con cui nutrono il proprio intelletto e la propria rabbia. Aspirano alla ricchezza e al lusso. Sbirciano dalla serratura della ricca borghesia e se ne ritraggono disperati invidiandone il lusso.
Soccombono nella dittatura degli oggetti e dei loro infiniti dettagli. Piatti di maiolica decorati con arabeschi, rubinetti di ottone a collo di cigno, spazzole dal manico di cuoio, tutto sembra nascondere la fatuità e coltivare l’illusione di un mondo colmo di artificiosa meraviglia.
Finché le cose non finiscono per soffocarli, per stringerli in una morsa di insostenibili particolari, e decidono di arrendersi ad un tentativo di fuga. Vanno in Tunisia, nella calma morta di Sfax, dove Sylvie accetta un posto da insegnante rispondendo ad un annuncio di Le Monde. «Partivano per seppellirsi, per dimenticare, per calmarsi» e il vuoto d’intorno, il succedersi di giorni neutri, la solitudine e l’immobilità del tempo, lo squallore e la povertà, li allontanano dai denti affilati del consumismo, il cui richiamo non tarderà a presentare loro il conto.
Il primo romanzo di Georges Perec, che Einaudi riporta oggi in libreria a quarantacinque anni di distanza dalla prima edizione italiana (Mondadori, 1966), è un esempio scintillante di letteratura capace di mantenersi attuale attraverso i lustri. Perché le cose ci creano e ci distruggono, la civiltà dei consumi ci rende risibili, il denaro è un cappio al collo, la città un cerbero che ingoia senza pietà. Soprattutto, le cose descrivono e ci descrivono, più di quanto siamo disposti ad ammettere, oggi come negli anni Sessanta.





1 Giugno 2011 alle 16:59 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

Ricerca personalizzata