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Marco Mancassola “Non saremo confusi per sempre”

di | in: Primo Piano, Recensioni

“Non saremo confusi per sempre” (Einaudi, I coralli, 2011 – pag. 148; euro 16)


«Erano lì, davanti ai loro occhi, figli perduti in circostanze violente, figli morti nell’ingiustizia, figli immolati da una nazione troppo stupida e cieca.»


Cinque giovani vite finiscono prematuramente e scrivono, a loro modo, la storia dell’Italietta che, schiava dell’impatto mediatico, della risacca emotiva, dei tanti rimandi etici di rimorsi e sensi di colpa collettivi, non può prescindere dalle vicende di Dirk, Alfredo, Eluana, Giuseppe e Federico.
Dirk Geerd Hamer, ucciso da un colpo partito con tutta probabilità dalla carabina di Vittorio Emanuele di Savoia. Alfredino Rampi, morto a soli sei anni dopo essere caduto in un pozzo artesiano lungo ottanta metri. Eluana Englaro, morta per l’interruzione della nutrizione artificiale dopo aver passato diciassette anni in stato vegetativo. Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido dalla mafia dopo quasi ottocento giorni di prigionia. Federico Aldrovandi, pestato a morte da quattro poliziotti mentre rientrava a casa all’alba. Attraverso di essi Marco Mancassola modella un mosaico di fatti neri che prende le distanze dal mero cronachismo per offrire una singolare chiave di lettura di trent’anni di cambiamenti e lacrime («Quel mattino, in milioni di case, la gente si scordò di spegnere i televisori e andò nelle stanze dei figli. Eravamo lì, dormivamo pacifici. Nessun buco sembrava averci inghiottiti. In tutto il paese genitori inquieti sospirarono, disorientati, un nodo in gola. Eravamo lì, i bambini di allora, gli adulti di adesso. Saremmo cresciuti ricordando la storia del bambino nel pozzo») che hanno contribuito a rifare la pelle al nostro Paese.


Procedendo nella lettura ci si indigna, ci si commuove, si partecipa a dolori che hanno settato l’affettività e la miseria della propria epoca. La scelta di Mancassola di rendere letteratura questi fatti di cronaca, di costruire un tessuto fantastico su cui annodarne la nudità, è felice perché, traslati nella dimensione del racconto, i fatti acquistano una potenza altra, riuscendo infine a centrare un’inattesa e poetica pacificazione.
Che il racconto trascolori spesso nella fiaba non denota infantilismo, tutt’altro. Attraverso il ricorso ad un registro fantastico Mancassola tenta di esorcizzare la tragedia e di trovare una scappatoia al pozzo senza uscita in cui le giovani vite sono finite, innocenti, placandone l’angoscia. Tenta di guardare negli occhi, soprattutto, la brutalità del male – spiccano per atrocità le storie di Giuseppe Di Matteo e di Federico Aldrovandi – abortendo l’enfasi e l’isteria, cesellando invece frasi imperturbabilmente rivelatrici che, un passo alla volta, portano al cuore di diamante di queste parabole moderne.




18 Giugno 2011 alle 22:48 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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