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Tau: Let the sunshine in, il primo passo dell’Antigone dei Motus

di | in: Cultura e Spettacoli, Primo Piano

All’anfiteatro di Urbisaglia, il teatro sperimentale incontra il mondo classico


di Emanuela Sabbatini


Un equatore che divide il palcoscenico in due metà contrapposte e dialoganti il cui la scena si svolge assumendo come unico contatto quel filo spinato di pubblico che, seduto in due schiere frontali, funge da massimo parallelo. Un teatro luogo-borderline dove il tradizionale cede il passo all’afflato del contemporaneo senza però negarsi, scomparendo dalla scena.

In una parola: Motus.

All’interno del Tau, Teatri Antichi Uniti, rassegna curata da Amat che nei teatri e anfiteatri romani delle Marche porta in scena il mondo classico nelle riletture moderne, la compagnia riminese ci regala il primo contest dell’Antigone, Let the sunshine in.

La location lascia senza fiato; si tratta infatti dell’anfiteatro romano di Urbisaglia, una struttura ellittica immersa nel verde delle campagne maceratesi, carezzata appena dalla luce del sole al tramonto.

Che la consuetudine dei Motus fosse quella di fuggire la convenzionalità del fare teatro, già ci era stato dimostrato nel secondo contest dell’Antigone in scena al Lauro Rossi di Macerata (vedi http://www.ilmascalzone.it/2010/10/motus-too-late-antigone-contest-2-2/ ).

Ma questo è l’archè, il principio.

Due soli attori, Silvia Calderoni e Benno Steinegger, a spartirsi ruoli, ad essere chiasmo, contrapposizioni speculari di stati dell’essere e modi di agire. Come per il secondo contest, anche qui il testo classico è pretesto mitopoietico per parlare del contingente; e allora alla tragedia sofoclea si accede per poi andare oltre attraverso un dialogo-dardo che bersaglia il pubblico posto nel centro. Un vero e proprio mettere in mezzo chi solitamente sta in poltrona, mira e non favella, non si compromette; un responsabilizzare lo spettatore coinvolto nei temi quotidiani senza possibilità alcuna di fuga.

Il passaggio dalla finzione alla realtà è repentino e straniante: dal testo recitato, a quello interrogato. I due attori si domandano cosa avrebbero fatto, come si sarebbero comportati in situazioni analoghe a quelle di Antigone, Polinice, Ismene o Eteocle.

È all’interno di questo passaggio continuo che si perdono le coordinate in cui si svolge l’azione, e tale decontestualizzazione è utile ai fini del procedimento induttivo; dall’esempio particolare dell’eroina che si ribella al potere costituito sino alle Antigone di oggi, quelle vittime delle tante manifestazioni che dalla Grecia alla Val di Susa squassano i media e l’opinione pubblica.

Un terreno ibrido dove militanza e mito si fondono assieme inscindibilmente.

Una Antigone che nella sepoltura di Polinice, fratello caduto in battaglia e considerato oppositore della Patria, contravviene agli ordini di Creonte, re di Tebe. In quella sepoltura vietata che Antigone compie da sola senza l’aiuto negato della sorella Ismene, la nostra eroina viene invece aiutata dal pubblico. Silvia chiede infatti agli spettatori le loro sedie, tutte le loro sedie. E contravvenendo alla tragedia di Sofocle che vede Antigone agire in solitudine, ecco che nel rimpasto moderno dei Motus, l’eroe/antieroe, pacifista o terrorista che sia Polinice, diviene martire pubblico, vittima riconosciuta e rispettata nonostante tutto.

Una catasta di sedie viene disposta sul corpo senza vita di Benno/Polinice. Ognuno porta la propria sedia come fosse un pugno di terra da lanciare sul corpo esanime. Da quella tomba metallica poi risorgerà un corpo nudo di vestiti, spoglio di parole. Un imbarazzo cui solo il pubblico sarà in grado di rispondere cedendo un indumento qualunque pur di coprirlo.

Alla sua uscita di scena risponderà l’entrata di Silvia che, sulla gradinata posta di fronte al pubblico con un fumogeno tra le mani canta “Let the sunshine in”, un lasciar entrare la luce del sole nel buio fumoso della realtà quotidiana.





4 Luglio 2011 alle 18:43 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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