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«Mai un cinema e un teatro mercenari»: intervista a Toni Servillo

di | in: in Vetrina, Interviste

“Un balcon sur la mer” (Francia, 2010)

Il più grande protagonista del cinema italiano dell’ultimo decennio parla della sua “scappatella” francese, il film “Un balcon sur la mer” diretto da Nicole Garcia.


Marc Palestro (Jean Dujardin) lavora nell’agenzia immobiliare del suocero e, in occasione di una vendita, incontra una donna piena di fascino (Marie-Josée Croze) nel cui volto crede di riconoscere l’amore dei suoi dodici anni, Cathy, conosciuta quando viveva in Algeria; dopo una notte d’amore, ma non prima di aver firmato il compromesso per l’acquisto di una tenuta, la donna scompare. Nel suo nuovo film, “Un balcon sur la mer”, la regista e attrice francese Nicole Garcia parla di esilio, di infanzia, dell’amore tra due persone che si rincontrano ma non si ritrovano. E, accanto ai due attori protagonisti, ha fortissimamente voluto il nostro Toni Servillo per interpretare Sergio Bartoli, un collega di Marc che non risulterà estraneo all’indagine sulla scomparsa della donna.
Abbiamo incontrato l’attore napoletano in occasione della proiezione del film a “France Odeon”, Festival del Cinema Francese di Firenze, quest’anno alla sua terza edizione.


Come è avvenuto l’incontro con Nicole Garcia?
Nicole dice di aver visto “Gomorra” in una sala di Parigi, di essere rimasta affascinata e di aver capito subito che aveva bisogno di me per il personaggio di Sergio. Ha cercato un contatto, mi ha chiamato ed il giorno dopo è venuta a Napoli e ci siamo conosciuti. Poi è anche venuta con la sua costumista a Palermo, dove io recitavo “La villeggiatura”, per fare la prova costumi. Mi ha davvero cercato con insistenza. E d’altra parte io, che pure avevo avuto molte proposte di lavorare in Francia, ho scelto il film di Nicole senza il minimo dubbio e mi ci sono subito sentito a casa.
Cosa l’ha affascinata di “Un balcon sur la mer”?
Innanzitutto la sceneggiatura, scritta da Nicole con Jacques Fieschi, lo sceneggiatore di quel bellissimo film che era “Un cuore in inverno”. Poi sono stato sedotto dall’idea di essere diretto da una donna, cosa che non mi era mai capitata, e da un’attrice: sono due aspetti fondamentali che, dalla grazia con cui Nicole ha diretto il film, emergono benissimo.
Che differenze ha notato recitando su un set francese?
Quando si gira un film, il set non ha una dimensione nazionale. Il set è il set. Stessa cosa vale per il teatro: ho avuto la fortuna di recitare ovunque, dalla Sicilia a San Pietroburgo, e quando sali sul palcoscenico non ci sono grosse differenze a secondo del posto in cui sei. La differenza sta semmai nei mezzi con cui in Francia si sostiene un cinema d’autore come, ad esempio, quello che fa Nicole. I francesi hanno molta più cura nel tutelare i propri artisti e nel difendere il proprio prodotto nazionale. La nostra cinematografia purtroppo si adopera in questo in maniera molto più incerta.
Girando il film si è sentito, dunque, perfettamente a suo agio.
Sì, d’altronde i francesi hanno sempre guardato con simpatia agli attori italiani e io spero di aver ripagato la fiducia della regista. Per fortuna non mi è stato offerto un ruolo da italiota, da classico furbo italiano, ma un ruolo importante, quello di Sergio è un personaggio chiave nella relazione tra i due protagonisti. E’ stato bello anche lavorare con loro, in particolare devo dire che Jean Dujardin è un vulcano di talento. E’ stata un’esperienza molto bella e mi auguro che ci possa essere un’altra occasione di lavorare con Nicole.

Quale sarà il suo prossimo impegno cinematografico?
Sono in procinto di girare “L’altro mare”, il nuovo film di Theo Angelopoulos, ad Atene. Speriamo che si riesca a girare, visto quello che sta succedendo lì.
Come si destreggia nel suo doppio ruolo di attore di teatro e attore di cinema?
Credo che sia un’ambivalenza scritta nella grande tradizione del cinema italiano, basti pensare a Mastroianni, a Gassman… Oggi troppo spesso si fa fortuna al cinema e si tira il pacco al teatro. Io cerco di portare avanti entrambi i discorsi. Rimango un teatrante militante, recito una sera qua e una sera là. E credo che sia proprio perché faccio teatro spendendoci la vita quotidianamente che poi ho la fortuna di poter scegliere il miglior cinema da fare. Mai un cinema mercenario e, naturalmente, mai un teatro mercenario.
Lei che conosce così bene Paolo Sorrentino, cosa pensa del suo film americano, “This must be the place”?
L’avevo visto in una fase di lavorazione che precedeva di almeno due mesi la presentazione a Cannes e mi era piaciuto tantissimo. Il film è valido proprio nella misura in cui non è il film di un Sorrentino americanizzato. Uno dei più grandi meriti di Sorrentino è quello di non aver fatto l’americano. Trovo poi che il personaggio di Cheyenne, interpretato in modo splendido da Sean Penn, abbia delle tenerezze e degli abbandoni simili a quelli dei due protagonisti de “L’uomo in più” (il primo lungometraggio di Sorrentino, ndr), interpretati da me e da Andrea Renzi.




1 Dicembre 2011 alle 1:57 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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