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Tlr Jazz, lo “Special Project” di Bosso e Mazzariello è eleganza e vivido ricordo

di | in: Primo Piano

Bosso, Mazzariello

Al Lauro Rossi di Macerata per Musicamdo, splendida esibizione del duo tromba e pianoforte

 

MACERATA – Riascoltare Bosso in concerto, di nuovo, anche quest’anno quasi fosse un rito e accorgersi, mentre si è lì seduti in platea, che qualcosa della sua essenza ci era sfuggita, che rispetto all’anno prima la sua tromba ha avuto ancora la forza di cambiare e migliorare e suggerire immagini nuove. Sabato sera, il trombettista italiano è tornato a far visita agli aficionados di Macerata, con un concerto al Lauro Rossi all’interno del Tlr Jazz di Musicamdo.

Inventarsi una stagione con protagonista “la tromba” non poteva certo dissuadere Daniele Massimi e il suo entourage dal richiamare Fabrizio Bosso sul palco del teatro maceratese.

Accanto a lui, seduto al pianoforte, l’italo-inglese Julian Oliver Mazzariello vincitore del prestigioso Premio Urbani nel 1998. Si è abituati a pensare a Bosso accanto al pianoforte. La dimensione duo” fiato e piano” è di certo una strada scelta ricorrentemente dal celebre trombettista nostrano, basti pensare alle collaborazioni con Sellani o con Franco D’Andrea, sino a Sergio Cammariere o Raphael Gualazzi.

Bisogna dire che anche questa volta il risultato è a dir poco sorprendente. In un concerto compatto, che sa alternare sapientemente introspezione e ritmi energici, in cui emerge preponderante il gusto retrò, Bosso ripercorre certa storia del jazz aprendola alla contaminazione ora con la bossa, ora con l’hard bop senza dimenticare la vena blues.

Così tra sorsi di musica firmata George Gerswin (“But not for me” e “Oh lady be good”) una incursione nel Ray Henderson di “Bye bye blackbird” e tanta storia del songbook americano dagli anni 50 ai 70, si collocano alcuni frammezzi bossiani. La sua “Wide Green Eyes” suggerisce subito atmosfere intime e ci riporta in una situazione di quiete e di pace interiore, in cui l’eleganza del suono si affina attraverso le sottolineature stilistiche di Mazzariello e la linea della tromba, mai barocca, sempre pulita e onirica. E poi quella “Estate” di Bruno Martino, un viaggio in terre lontane, di quella canzone italiana elegante e sapiente nel mescolare canzone leggera e arrangiamento colto.

L’affiatamento del duo lascia basiti. Ora partono da basi ritmiche ripetute meccanicamente dal tempo di battito del piede, poi giocano di controtempi e citazioni giocose come quel “Eri piccola così” di Buscaglione, per riprendere seri ad inventarsi nuovi modi di far suonare il proprio strumento. E allora Mazzariello traduce il suono di corde percosse in arpeggio, quando fa cantare il piano dal suo ventre. Bosso chiama la tromba al suo doppio, nel registrare il suono e nell’utilizzarlo come effetto ripetuto, base sonora, fascia ligetiana dove definire poi, in autonomia, nuove melodie.

Lo spaccamento dello strumento, il suo effetto di mirroring è qualcosa che abbiamo trovato spesso negli ultimi concerti quasi a definire una lettura filosofica delle potenzialità dello strumento stesso. Esso è sì uno, ma può replicarsi, può reinventarsi, può convertire il non strumento, il non suono, in nuova possibilità espressiva.

L’energia non manca a questo concerto. E allora tromba e piano corrono sulla stessa linea dialogando in intensità, lasciandosi reciprocamente spazi di espressione dove vaporizzare quelle gocce di pioggia che scorrono lungo il vetro dopo la pioggia emotiva dei pezzi più struggenti. Una luce circolare corre assieme alla musica lungo i balconi degli ordini del teatro. L’orologio di Bosso riluce e riflette, rendendo il suono, oserei dire, persino visibile.

A Mazzariello va un plauso particolare. Quello di interpretare alla perfezione il doppio della sua anima. Tenebra e luce, gioco e architettura, riflessione e spensieratezza, non solo si alternano ma convivono, inspiegabilmente, in equilibrio, sino a quella seconda uscita richiesta dal pubblico che si conclude con Bosso che accenna ad una ninna nanna, come ad augurare a tutti una buona serata.

Ad entrambi il merito, oltre l’indiscussa bravura, di ricordare pezzi di storia del jazz, non un omaggio ma una gioiosa restituzione di vita.

Teatro pieno e scrosciare di applausi. Meritatissimi.




19 Marzo 2013 alle 0:37 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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