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Murakami Haruki “A sud del confine, a ovest del sole”

 

Torna nella collana Supercoralli di Einaudi uno dei romanzi cult di Murakami, negli ultimi anni finito inspiegabilmente fuori catalogo. Una storia d’amore fuori dal tempo, ambientata in una Tokio piovosa e malinconica.

 

Hajime e Shimamoto sono legati da un sentimento impraticabile e inestirpabile. Si conoscono a scuola, si perdono per due decenni abbondanti, si ritrovano adulti, enigmatici e infelici. Hajime conduce una vita agiata, gestisce dei locali notturni con musica dal vivo. Ama Nat King Cole e Duke Ellington, veste Armani e guida una Bmw. Ama sua moglie e le sue due bambine, ma un senso di vuoto non molla la sua anima e la erode giorno dopo giorno. Tranne quando Shimamoto decide di riapparire. Allora tutto passa in secondo piano. “Quando ti guardo, a volte mi sembra di vedere una stella lontana”, le dice Hajime, “sembra che brilli, ma è una luce di decine di migliaia di anni fa. Forse è la luce di un astro che ora non esiste più, ma a volte sembra più reale di tutto il resto”. Nel tempo e nello spazio dell’amore latitante, Hajime ha sempre una scelta davanti a sé e il più delle volte è sul punto di mollare. La presenza-assenza di Shimamoto è il ritmo che scandisce le sue giornate; passato e presente si piegano a suo piacimento fin quasi a toccarsi, il futuro è un burrone sul niente. Se il passato ritorna, come può esserci un futuro?

Murakami, con “A sud del confine, a ovest del sole”, fa un esercizio di dolcezza, non rinuncia al simbolismo ma si svincola dal registro fantastico a cui spesso e volentieri si abbandona, canta un amore che non si dice ma non muore, che non si compie ma pulsa, scava, lacera. Rilegge il tema dell’eterno ritorno affidandosi a suggestioni ben note (la musica jazz, la pioggia e il traffico di Tokyo) e alla forma dello shishosetsu, il romanzo-confessione (o romanzo dell’io) della cultura nipponica. Hajime è l’io narrante di “A sud del confine, a ovest del sole” e attraverso la sua voce Murakami libera la sua abilità introspettiva (“Tutto intorno a me cominciò a riacquistare colore e quella sensazione sconcertante di camminare sulla superficie della luna iniziò ad attenuarsi. Era come se la forza di gravità avesse subito uno strano mutamento e mi venisse strappato di dosso, a poco a poco, qualcosa che si era saldamente avvinghiato al mio corpo. Tutto ciò lo avvertivo in modo vago, come se stesse accadendo a qualcun altro, al di là di un vetro.”) e lascia che le pagine finali del romanzo si posino sul cuore come cenere silenziosa.