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Tommaso Pincio “Lo spazio sfinito”

di | in: Primo Piano, Recensioni


Minimum Fax riporta in libreria, a dieci anni dalla prima edizione Fanucci, il romanzo culto con cui Tommaso Pincio sdoganò l’avantpop a casa nostra.

Un Jack Kerouac che Jack Kerouac non è volteggia in un buco di gravità a contare le orbite, a misurare i vuoti, a contemplare il nulla assoluto. Ciondola sospeso in una navetta a 36.000 km dalla Terra con un malcelato senso di paranoia, occhi cerchiati e fare febbricitante, condannato al niente dal direttore della Coca Cola Enterprise, un tirannico Arthur Miller che Arthur Miller non è, e prima ancora dalla sua natura di disadattato costretto alla fuga fino alla fine di sé.
Una Marilyn Monroe che Marilyn Monroe non è lavora come orientatrice in una libreria. Un’orientatrice è una commessa tenuta a non dedicare più di dieci minuti a cliente e in quei dieci minuti convincere il cliente all’acquisto di un libro guardandolo fisso negli occhi. Look audace scolpito sul trucco specchiante adoperato per labbra, denti e lingua, Marilyn viene accusata di provocare i clienti e dunque licenziata, non prima di aver fatto perdere la testa ad un Neal Cassady che Neal Cassady non è. Da quel momento Marilyn scompare, di lei viene persa qualsiasi traccia, e Neal Cassady riversa il suo amore sulla signora Miller, una Norma Jeane Mortenson che ovviamente Norma Jeane Mortenson non è, facendone surrogato dell’orientatrice fatale e distillandole sentimenti per tutti o per nessuno («Una delle ragioni per cui le cose finirono con l’incastrarsi è che Neal e Norma non erano veramente interessati a conoscersi. Il loro incontro telefonico era la risposta ideale a un bisogno d’amore in cui ciascuno poteva fare a meno dell’altro»).


Nella fissità dello spazio in(de)finito c’è una bellezza ridotta all’osso, priva di peso, volteggiante e inconcreta. Jack Kerouac sceglie di fronteggiare la solitudine nella terra di nessuno e soffre di tenerezza fino a morirne. Nulla è scontato nell’interminabile procedere del tempo dove il vuoto continua ad inghiottire e le stelle continuano a spegnersi, nemmeno che il vuoto sia peggiore in solitudine totale a chilometri da Terra piuttosto che in una reggia di mirabile equilibrio e modernità, come la casa sulla cascata di Wright, infelice dimora dei coniugi Miller. Se sembra un cortocircuito è pura illusione. Se Marilyn e Norma Jeane sono due persone diverse ci si trova in un universo rispondente ad un disegno di doppia simulazione oppure, più semplicemente, ad un’unica instancabile voragine. Il vuoto, si sa, è prima di tutto una frontiera interiore. E perdersi nello spazio è l’ultimo atto di coraggio dell’ostinazione romantica. Ammesso che lo spazio esista davvero e non sia solo una cospirazione, mera invenzione, un «buio di niente».




14 Dicembre 2010 alle 18:11 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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