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Teatro Lauro Rossi: “Rumori fuori scena” alla rassegna Perugini

di | in: Cultura e Spettacoli, Primo Piano

Rumori fuori scena

L’esilarante commedia di Michael Frayn


di Emanuela Sabbatini


MACERATA, 2011-11-07 – Giunta al suo quarto appuntamento nella domenica pomeriggio di ieri, la rassegna Perugini porta sul palco del teatro Lauro Rossi “Rumori fuori scena” commedia divertente della Compagnia Step di Ancona. In tre atti, per una durata totale di circa due ore, la narrazione intreccia scena e fuori scena, attore e personaggio.

Prima ancora che si apra il sipario, un telefono squilla e, svelata la scena, si è all’interno di una lussuosa cascina di campagna. Al centro un divano rosso ed un tappeto. Alle spalle, tutto in legno chiaro, due porte ed una finestra; sulla destra un’altra porta e sulla sinistra una scala che conduce al piano superiore dove si aprono altre quattro porte. A rispondere al telefono è Dotty, la domestica della casa che, con un piatto di sardine in mano, annuncia che Frederick, il padrone di casa si è trasferito in Spagna. Capiremo più avanti il perchè di tale spostamento simulato: perseguitati dal fisco, Freddy e la consorte Belinda, vogliono far perdere le proprie tracce.

Irrompe fuori scena la voce megafonata di Lloyd, il regista-dio che corregge le battute di Dotty. È il prima, le prove tecniche. Si tratta dunque di metateatro ossia teatro nel teatro.

Una scalcagnata compagnia di attoruncoli mette in scena una commedia intitolata “Nothing on” ossia “Niente addosso”.  Freddy, autore teatrale e proprietario di casa fugge dagli esattori delle tasse, un agente immobiliare Garry, utilizza la dimora per un appuntamento d’amore con Brooke, un’impiegata. Un ladro ubriacone, un aiuto regista tuttofare (Poppy), e un direttore di scena strampalato.

Il passaggio dentro/fuori diviene continuo percorso narrativo che svela la doppia istanza di ciascun personaggio, ora nelle vesti di attore, ora in quella di uomo e donna. Gli intrecci sono molti e si consumano gelosie nate per lo più da situazioni doppie, ambigue. È questo quel che raccorda palco e quinte. Borse e vestiti che spariscono e cambiano di posto, un piatto di sardine che si muove nel turbine dell’alternanza di personaggi, porte che inspiegabilmente si aprono e si chiudono. Lo stile non lascia scampo, è la commedia degli equivoci: si trovano ad agire, alternativamente, due o più personaggi, l’uno all’insaputa dell’altro.

Il luogo è di per sé spazio inesistente dove i personaggi ci sono ma dicono di non esserci. Nel linguaggio si sprecano velati doppi sensi, mai volgari, ma che stimolano il riso della sala. Ogni attore ha una caratterizzazione che lo lega al personaggio. Se Freddy è l’elegante signore proprietario di casa, dai modi delicati, allo stesso modo, fuori scena sarà facilmente impressionabile, timoroso e soggetto a svenimenti alla vista del sangue. Garry, l’impacciato agente immobiliare, è lo stesso che fuori dalla scena non conclude le frasi, le lascia sospese cedendo all’ascoltatore la possibilità di completarle: “Potrebbe essere che…hai capito no?”. La divertente Brooke, impersonata da una eccellente Martina Sulpizi, è la svampita che recita meccanicamente la parte senza capire il senso delle cose. Fuori scena la sua sbadatagine è resa da un deficit visivo ed uditivo: persa la lente a contatto non solo le manca la vista ma persino l’udito.

Se il primo atto permette la visione della commedia dalla ribalta, il secondo dà una retro-prospettiva. Quando il sipario si riapre si è dietro le quinte mentre lo spettacolo va in scena. È il durante. La scenografia è completamente girata tra cartelli indicanti la dressing room, l’uscita e il dictat “Do not talk”. Ma è quest’ultimo ad essere continuamente contravvenuto. Dietro le quinte è un continuo arrabattarsi, litigare, gridare, incuranti di quel che accade sul palco. Il fuoriscena è molto più divertente della scena. Gli equivoci si sprecano anche qui, ed è tutto giocato sull’ambiguità delle assurde situazioni. Il regista perde l’onniscenza del dio e svela la doppia relazione che intrattiene con due donne della compagnia.

Il terzo atto riporta la situazione alla realtà performata: sul palco si migra dall’equivoco all’assurdo. Il testo teatrale degenera nella mistura tra scena e fuoriscena. Il dopo. Il recitato viene ribaltato: ciò che da copione non doveva esserci ora c’è e viceversa, ciò che doveva essere detto in un momento non viene detto. I personaggi si confondono e si aggiungono altri attori ad interpretare lo stesso ruolo col fine di ovviare ad una emergenza avvertita ma irreale. “Che conclusione per il primo atto! L’inizio di una nuova vita”. E la vita nuova è quella che non offre più nulla di certo, quella che mischia realtà e finzione, quella che al logos contrappone il caos, quella che non c’è nulla di meglio che chiuderla gridando “Sipario”.

Recitazione discreta, ritmo che cresce sino al botto finale. Sala piena e divertita. C’è ben poco di innovativo, “Rumori fuori scena” è la classica commedia degli equivoci che nulla aggiunge e nulla toglie ad un genere ormai sin troppo abusato e forse un po’ sorpassato.




7 Novembre 2011 alle 17:44 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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