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Paul Auster “Diario d’inverno”

di | in: Primo Piano, Recensioni

“Diario d’inverno” (Einaudi, 2012)

Dopo due romanzi poderosi e appassionanti come “Invisibile” (Einaudi, 2009) e “Sunset Park” (Einaudi, 2010), Paul Auster torna in libreria con un elegante e spregiudicato esercizio di stile , un atipico memoir scritto in una seconda persona che incalza il lettore, lo risucchia nel vortice di resoconti e aneddoti tragicomici. “La prima persona sarebbe stata troppo intima, la terza troppo distante”, ha dichiarato Auster, “la seconda era giusta, perché questo è il libro di ogni corpo; in modi diversi siamo tutti passati attraverso queste stesse esperienze e sensazioni”. Dentro “Diario d’inverno” Auster ha messo un po’ tutto il suo universo autobiografico, soprattutto ha fatto tanti elenchi, dettagliati, puntuali, a volte anche inutili. A restare nella memoria del lettore e a generare, si presume, molti imitatori sarà l’elenco di tutte le case abitate dallo scrittore, sparse tra New Jersey, Manhattan, Brooklyn, California, Francia. Dal ricordo e dalla descrizione di ognuna di queste case emerge la figura di un uomo che ha imparato sulla propria pelle a conquistarsi ogni risultato, a non ricevere regali ma a soffrire, a fare anche la fame, prima di scrivere sul finire degli anni Settanta “L’invenzione della solitudine”, libro da cui è partita la scintillante carriera letteraria che oggi conosciamo. Tra tutti i titoli austeriani è proprio “L’invenzione della solitudine” quello a cui più si avvicina questo “Diario d’inverno”. Se lì era stata la morte prematura del padre ad essere esorcizzata attraverso la scrittura, qui è la figura della madre scomparsa da pochi mesi ad essere omaggiata, perché “avendo deciso di scrivere un libro sul mio corpo, ho pensato che dovevo parlare anche di lei, perché dentro di lei tutto è cominciato”.  
Alcuni passaggi non riescono a mantenere alta l’attenzione del lettore. Provate a leggere l’elenco di tutti i verbalini delle riunioni di condominio redatti dalla moglie dello scrittore per esempio: sono pagine che, volendo fargli un complimento, potremmo definire tediose. Altrove Auster è bravo a pizzicare le corde giuste, con una legittima dose di morbosità. Non è da tutti raccontare con disarmante sincerità i propri dolori gastrici o le proprie crisi di panico. Non è da tutti, soprattutto, spiattellare al pubblico le proprie frequentazioni sessuali a pagamento, quando giovane e solo per le strade di Parigi non trovava compagnia migliore di quella delle prostitute del Quartiere Latino. Quello che resta, arrivati alla fine, è una sensazione di confusione e di stordimento, ma anche il piacere di tante pagine magistrali, nude, potenti e oneste.




28 Febbraio 2013 alle 21:09 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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