A Macerata “Ti regalo la mia morte, Veronika”: l’omaggio di Latella a Fassbinder

A Macerata “Ti regalo la mia morte, Veronika”: l’omaggio di Latella a Fassbinder

Il regista campano chiude il cerchio sul cineasta tedesco portando in scena il suo penultimo film

MACERATA – Inquietante, simbolico, allucinogeno, intenso, lucidamente violento. Antonio Latella è tornato venerdì 26 al Teatro Lauro Rossi di Macerata per la stagione 2016 promossa da AMAT e lo ha fatto con “Ti regalo la mia morte, Veronika”, ennesimo lavoro che si muove sul bordo tra follia e pura genialità. A dieci anni esatti da “Le Lacrime Amare di Petra Von Kant”, il regista campano chiude il cerchio sul cineasta Rainer Wener Fassbinder rivisitando quello che è il penultimo film del regista tedesco.

Il pubblico in sala non è ancora pronto all’inizio dello spettacolo. Le luci sono accese, ci si scambiano parole di cortesia con il vicino di poltrona, si saluta qualche conoscente. Lo spazio scenico però non attende e veniamo catturati dal violento ingresso in proscenio di un’esile figura femminile che camminando avanti e indietro sulla scena grida aiuto invocandolo dal pubblico. “Aiutatemi, ho paura di perdermi”, grida, “Aiutatemi, ho paura di essere dimenticata”. Non è una domanda, specifica, è una richiesta, un’invocazione. Si fa subito silenzio in sala, le luci rimangono accese, il codice ancora non è chiaro e rimarrà tale fino alla fine dello spettacolo. Il confine tra dentro e fuori, dalla mente, dalla storia raccontata, dal cinema, dalla razionalità è sempre più labile. A chiedere l’aiuto del pubblico è Veronika Voss, protagonista del penultimo film di Fassbinder, figura ispirata all’attrice Sybille Schmitz, diva del cinema di propaganda nazista caduta in disgrazia con la fine del Reich.

Antonio Latella, "Ti regalo la mia morte Veronika"
Antonio Latella, “Ti regalo la mia morte Veronika”

Ossuta e nevrotica, nell’interpretazione esemplare di Monica Piseddu, la vediamo muoversi sulla scena tra un carrello dove corre una cinepresa rivolta verso il pubblico, e, alle spalle, una fila di 16 poltrone in legno da vecchio cinema. Sullo sfondo un enorme arazzo di pelo grigio chiaro al di sopra del quale, come ombre si muovono proiezioni. Il cinema è lì, una storia raccontata e rivissuta tra il ricordo e la visione allucinata di da Veronika Voss, morfinomane ricoverata in una clinica psichiatrica. Silenzio, inizia il film e la scena si popola di inquietanti scimmioni albini trasposizione visiva di un modo di dire caro ai tossicodipendenti nei momenti di astenia. “Essere alla scimmia”, tradotto in “astinenza”, preda di turbe psicotiche, fobie dell’anima, ricordi trasfigurati.

Entriamo così nel mondo di Veronika Voss, il suo cinema di ieri fatto di primi piani e quell’ultimo film in bianco e nero al quale aggrapparsi prima di perdersi sul viale del tramonto delle dive dimenticate. Quel mondo fatto di ultime cose. L’ultimo amore per il giornalista sportivo Robert Krohn (Annibale Pavone), che fa la sua comparsa proprio tra le poltrone della platea come a evidenziare una distanza incolmabile tra la scena e chi nella vita, esattamente come il pubblico, dovrebbe aiutarla e non può. L’ultima cena, alias ultima dose, prima di salutare il mondo e ritrovare un’altra vita.

Niente salverà Veronika Voss più o meno come nulla ha salvato la sua trasposizione maschile, Rainer Wener Fassbinder. Non la salva l’amore di Robert che, supportato dal coro della tragedia rappresentato dagli scimmioni albini, viene invitato ad entrare nel film abbandonando la platea e raggiungendo il palco. Non la salva il cinema con l’ultimo fallimentare lungometraggio, né il suo incantato ricordo.

“Anche la morte è un lavoro” le ricorda la dottoressa della clinica in cui la Voss è ricoverata. E lo è davvero perché Veronika, affamata di quella vita da attrice e diva, la ricerca per tornare in qualche modo a lavorare e quindi a vivere. Quando la scena viene smantellata le luci si posano sull’ultima cena a base di morfina. Il telo si rialza su un maestoso albero bianco e un richiamo alle pieces di Cechov. Un altro confine è stato attraversato. Dall’azione al ricordo, dal racconto alla sua trasfigurazione allucinata, dal dentro al fuori, dalla vita alla morte. “Adoro il cinema realista – dice Veronika una volta approdata nell’oltrevita e contornata dagli amati personaggi femminili del cinema di Fassbinder – almeno qui si mangia.”

Lo spazio si riempie di profumi di mandarini appena sbucciati mentre per terra, sotto l’albero albino come le scimmie del mondo onirico e allucinogeno, si consuma una colazione sull’erba, inno alla vita, ad un nuovo inizio su quel “tram chiamato desiderio” tanto caro a Latella.

Ph © Emanuela Sabbatini
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