Cucina dello Spirito: l’autunno tra chiostro e dispensa al Convento di San Giacomo della Marca
di Redazione | in: Cronaca e AttualitàL’autunno ormai avviato richiedeva di seguire con solerzia le ultime pratiche agrarie, prima del grande freddo e del letargo dei campi. Nel Nord delle Marche, in un convento di Talamello, in questi giorni si estraevano le forme di pecorino messe in alcune fosse, come attestano documenti del Settecento. Andando all’estremità opposta delle ragione, tra le arcate del chiostro nel monastero di San Giacomo a Monteprandone, potevano trovarsi ammonticchiate da tempo le pannocchie di granturco, preziosa dispensa per le polente serali delle brutte stagioni, mentre andava seguita con solerzia la raccolta delle olive. In attesa della preziosissima risorsa dell’olio, orgoglio millenario perpetuato se non salvato dalla sapienza monastica, il mosto riposava nelle cantine, e gli stessi frati, come tutti i contadini, avrebbero fatto l’assaggio rituale per San Martino. I racconti agiografici di questo santo raccontano infatti di miracoli tra le botti, come anche di un animale centrale nella sua vita come l’oca, che in suo ossequio era imbandita arrosto nella tradizione di molte città per l’11 di novembre : nel Nord Italia era del resto questo il periodo per preparare le conserve grasse ed i salumi con questo pennuto; chi non ne aveva festeggiava con cacciagione varia, donata talvolta al monastero dagli amanti della pratica venatoria, scatenati in questi giorni.
I frati, da bravi erboristi e cultori delle provviste di bosco
raccoglievano funghi e castagne, provvidenziale aggiunta
per il refettorio in questo periodo. Legumi importanti erano le
fave essiccate, a cui da sempre si riferisce una simbologia
funebre, sopravvissuta nella ricorrenza cristiana del due
novembre. Le suore, in proposito, erano maestre nei dolcetti
rituali di questa festività, che imitavano questi legumi in pasta
di mandorle, e del resto la loro arte dolciaria sapeva anche
creare le finte bontà di bosco di questa stagione, realizzando
“funghetti” al profumo di anice e “tartufetti” con castagne e
cioccolato. Anche questo era un esempio di maestria
monastica nel conoscere la natura e l’arte, nel conciliare la
terra e il cielo.
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