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GialloMare: le cisterne romane si tingono di giallo

di | in: Cultura e Spettacoli

GialloMare

Fino al 30 aprile per scrivere il tuo racconto

 

La scrittrice Barbara Garlaschelli ha scelto la suggestiva cornice delle antiche piscine romane per ambientare l’incipit della terza edizione del Premio Letterario GialloMare


            È stato prorogato al 30 aprile 2011 il bando per poter partecipare al Premio letterario GialloMare 2010. In gita a Fermo con la sua famiglia, un ragazzino si perde tra i meandri delle cisterne romane. Che cosa troverà? Comincia così l’incipit scritto da Barbara Garlaschelli per la terza edizione del concorso letterario legato al Festival GialloMare, concorso che quest’anno vuole fare un omaggio a Fermo, scegliendola come location ideale e suggestiva per ambientare un racconto giallo che potrà essere declinato come ciascuno meglio crederà. Coloro che vorranno partecipare al premio dovranno infatti continuare l’incipit scritto dalla Garlaschelli e trovare la soluzione del mistero in esso contenuto. Una bella occasione per scoprire il lato noir di Fermo prendendo le mosse da uno dei suoi patrimoni storico-artistici più importanti e ricchi di fascino.

Per leggere l’incipit e scaricare il bando del concorso potete visitare il sito www.festivalgiallomare.it, il blog www.festialgiallomare.blogspot.com oppure contattare la casa editrice Zefiro (www.ventodizefiro.it) ai numeri 0734.223414 – 333.6519709 o via mail: info@ventodizefiro.it .

 

INCIPIT  Premio letterario GialloMare 2010

di Barbara Garlaschelli


Non ti allontanare come tuo solito. La voce di sua sorella Mara gli risuonava nel cervello. Nicolò si guardò attorno e cercò di capire da che parte potevano essere andati tutti. Sentiva l’eco delle loro voci e dei passi che, come soldatini disciplinati, seguivano la guida. Fino a un certo punto era anche riuscito a distinguere la voce di quella donna giovane coi capelli ricci, rossi che gli ricordava tanto la sua prof. di matematica e che guidava con piglio sicuro il gruppo di turisti che avevano voluto visitare le cisterne di Fermo.

“L’ampio complesso sotterraneo delle cisterne romane, databile alla fine del primo secolo avanti Cristo, faceva parte di un acquedotto molto complesso e articolato che sfruttava l’acqua sorgiva per distribuirla in tutta la città”, recitava la voce della ragazza, come se quelle frasi le avesse imparate a memoria. Cosa molto probabile, aveva pensato Nicolò guardandola. “È l’unico in Italia per estensione in metri quadri ed è composto da 30 stanze intercomunicabili…”.

Erano state quelle le parole magiche che gli avevano fatto scattare qualcosa dentro:  30 stanze intercomunicabili… Significava, aveva pensato Nicolò, che quello che stavano visitando loro era una minima parte di tutto il complesso e nella sua mente di dodicenne si era formata l’immagine di quella specie di camere sotterranee con gli archi a volta che si rincorrevano all’infinito, una via l’altra, stanza dopo stanza, muro dopo muro, senza soluzione di continuità.

La sua voglia di avventura lo aveva indotto a staccarsi dal gruppo senza che sua sorella e i suoi se ne accorgessero, presi com’erano a osservare tutto ciò che la ragazza dai capelli rossi indicava, e adesso lui era lì, nelle cisterne sotterranee, da solo, mentre la voce della rossa si era andata sempre più affievolendosi sino a essere inghiottita dalle mura spesse.

L’odore di cantina e il riverbero della luce che non sapeva bene da dove arrivasse gli strapparono un sospiro. Era nei guai. Ma di quelli seri. Già se le sentiva sulla pelle le sberle che sua madre gli avrebbe dedicato appena gli avesse messo le mani addosso. E già lo vedeva lo sguardo sprezzante di Mara: sei il solito stupido. E papà, che avrebbe fatto? Preferiva non pensarci, ora. Ora la priorità era ritrovare la via per raggiungere gli altri e sperare che nessuno si fosse accorto della sua assenza. Cosa impossibile, ovvio, ma anche questo era un problema che si sarebbe posto più tardi.

Girò la testa a destra, poi a sinistra cercando di ricordare da che parte fossero arrivati prima di perdersi nelle sue fantasticherie e nella voglia di esplorare tutte le trenta stanze. Dopo qualche secondo di esitazione, puntò deciso verso destra. Fece due passi e si bloccò: a pochi metri c’era qualcuno che dormiva, proprio sotto una delle volte che univano una cisterna all’altra.

Nicolò si guardò intorno perplesso. Ma perché uno doveva mettersi a dormire lì?

“Signore…”, disse.

La forma in terra non si mosse.

“Signore?”, Nicolò fece un passo verso quello che aveva deciso essere un uomo addormentato.

La forma restò immobile.

Nicolò fece un altro passo. La curiosità era più forte di tutto – della paura, della perplessità.  Era sempre stata la curiosità  a metterlo nei guai.

Solo quando fu abbastanza vicino al corpo (ma ora non avrebbe più saputo stabilire a che sesso appartenesse), la curiosità cedette il posto all’orrore. Il corpo era in una pozza di sangue e il volto era una massa di carne sanguinolenta.

Nicolò cominciò a urlare come mai aveva urlato in vita sua. I piedi inchiodati a terra, gli occhi sbarrati e la gola che gli bruciava per lo sforzo.

Li trovarono così: il bambino che urlava e il corpo disteso nel sangue.




18 Gennaio 2011 alle 23:13 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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