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Alcìde Pierantozzi “Uno in diviso”

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“Uno in diviso” (Hacca, 2012 – pag. 176; euro 13,00)


Taiwo e Kehinde, gemelli siamesi, indivisibili per quel loro corpo dotato di due busti e un solo paio di gambe, sono i protagonisti di questo romanzo che, dopo aver raccontato il crollo delle dicotomie, è ancora capace di rispecchiare le crepe della realtà presente, provocando terremoti di inquietudine nelle coscienze di chi legge.


Per chi ha l’ardire di addentrarsi in un inferno terreno madido di secrezioni corporali e privo di luce, melmoso, malato, Hacca ripubblica con una nuova veste grafica “Uno in diviso”, il romanzo con cui nel 2006 esordiva un appena ventenne Alcìde Pierantozzi. Si usa non a caso il termine inferno perché abissali, maligne, peccaminose sono le situazioni e le immagini create da Pierantozzi in centosettanta pagine difficili da dimenticare. Capace di una prosa che attenta ad ogni forma di innocenza, lo scrittore marchigiano procede per lampi, animato da un impeto terrorista, da una lingua inedulcorabile, da un’immaginazione mai doma, e nell’avanzare visionario e psicopatologico è come se il romanzo curvasse fino a farsi circonferenza, attorcigliandosi su se stesso, come il serpente che continua in moto perenne a mordersi la coda, come il male che non tace e che, con il suo canto, rovescia il mondo. E allora l’omicidio è un atto di carità e l’inferno il più infinito dei punti nello spazio. Per arrivare al finale, dove le ombre non si dipanano ma esibiscono delle crepe, e attraverso di esse ogni attimo pulsa assillante nel ricordare che la vita è priva d’amore.




30 Giugno 2012 alle 20:57 | Scrivi all'autore | stampa stampa | |

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